Presunzione di colpevolezza

In un Paese che rappresentasse la civiltà del diritto sarebbe normale che a prevalere fosse la presunzione di innocenza su quella di colpevolezza. In Italia, almeno da Tangentopoli in poi, vige generalmente la presunzione di colpevolezza che pone il fantomatico reo in una posizione di difficoltà ad autodifendersi. Nel caso in cui, generalmente dopo tanto tempo, risulti innocente, nel frattempo ha perso onorabilità, tempo e soldi.
Dopo Tangentopoli ora c’è una presunzione di colpevolezza fiscale. Ma gli imprenditori del Veneto non ci stanno. Il presidente dell’Ascom di Padova, Fernando Zilio, ha lanciato una raccolta di firme contro la revisione degli studi di settore che colpirebbe, in particolare, le piccole imprese e i lavoratori autonomi. In poco più di un batter d’occhio ha raccolto mille firme ma presto arriverà alle cinquantamila che vuole portare a Roma. Ha detto che vuole portare un numero di firme che sia il doppio del numero di voti sui quali si regge questo governo: 24mila.
Perché questi imprenditori non ci stanno agli studi di settore così come li ha proposti Visco? Perché questi studi di settore, che dovrebbero prefigurare il guadagno reale di un’impresa, in realtà, sono stati costruiti all’interno degli uffici del signor Visco. La proposta originaria fatta da Tremonti era quella che le categorie degli imprenditori, come ad esempio quella del commercio, si mettessero d’accordo con il governo per indicare una soglia al di sotto della quale l’autorità fiscale avrebbe potuto intervenire. Gli studi di settore di Visco sono di diversa natura. Presumendo Visco una naturale colpevolezza di questi piccoli imprenditori, artigiani e commercianti in particolare, gli «straccioni» e i «ruba polli» (secondo lui) dell’economia italiana, ha deciso quale debba essere il loro guadagno. Se dichiarano di meno lo devono dimostrare, perdendo tempo, soldi e voglia di fare che, alla fine, è la cosa più importante.
Del resto alcuni giorni fa uno studio della Fondazione Nord Est rivelava due dati molto interessanti che sono i seguenti: il 74,5 per cento degli imprenditori di questa zona dell’Italia ritiene di avere un forte peso sul piano economico, ma ben il 50,8 per cento si accorge che a questo peso economico non corrisponde un analogo valore e capacità di ascolto in ambito politico e istituzionale. Dunque fanno tanto e bene ma non se li fila nessuno. Il tasso di fiducia nelle istituzioni è, infatti, calato dal 30,7 per cento del 2005 al 17 per cento attuale. Solo il 22 per cento degli imprenditori è disposto a dare un giudizio almeno sufficiente alla politica fiscale del governo. Un vero disastro.
Non c’è da meravigliarsi.

Perché il vero delitto non si nasconde tra gli imprenditori del Veneto (la cui quota di evasori, secondo Unioncamere, è solo del 10,8 per cento), ma in una azione di governo che presumendoli tutti rei toglie a loro la fiducia nelle istituzioni ma, soprattutto, la voglia di fare sulla quale si regge gran parte del nostro Paese.
Paolo Del Debbio

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