In attesa dei dati definitivi di Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione, il 2023 sembra essere stato archiviato come l’anno della riscossa per le prestazioni di chi ha scelto di investire sulla previdenza complementare. I rendimenti - secondo le prime stime - vanno tra il 6,5% e il 7% (rispettivamente per i fondi negoziali e per i fondi aperti). In entrambi i casi ben oltre il rendimento del Tfr, poco più del 2%.
Le perdite accumulate nel corso del terribile 2022 non sono state ancora del tutto recuperate, ma la strada è rassicurante. C’è un “però”. Queste prestazioni così positive - ci sono addirittura performance a due cifre - sono collegate al profilo di rischio che si accetta. Si dirà che è ovvio, ma non sempre è chiaro: non c’è rendimento alto senza un commisurato grado di rischio. E tra i sottoscrittori di fondi pensione (sono poco meno di 10 milioni di italiani, sommando tutte le tipologie in essere) meno del 10% sono disposti a puntare a questi obiettivi ambiziosi.
Meglio del Tfr
Insomma, è vero che i migliori rendimenti medi dei fondi pensione sfiorano tre volte quelli del Tfr, ma si tratta della punta di un iceberg. Le performance ricche sono relative ai comparti azionari che pesano circa il 9% del totale. Le linee bilanciate, obbligazionarie e garantite (che costituiscono la stragrande maggioranza delle scelte dei sottoscrittori di fondi pensione) offrono rendimenti di gran lunga più modesti.
L’ultimo dato Covip - relativo ai primi nove mesi del 2023 - indicava i rendimenti medi annui composti delle linee a maggiore contenuto azionario intorno al 5% per tutte le tipologie di forme pensionistiche. Con il rally di novembre è credibile che la media annua sia cresciuta di un paio di punti (fino al 6,5-7%) per le linee più aggressive. Resta il fatto che per le linee bilanciate, i rendimenti medi vanno dall’1,8% dei PIP, al 2,7% dei fondi negoziali e al 3% dei fondi aperti.
Viceversa, le linee garantite e quelle obbligazionarie mostrano rendimenti medi vicini allo zero o di poco superiori; le gestioni separate di ramo I dei PIP, che contabilizzano le attività al costo storico e non al valore di mercato, ottengono un rendimento dell’1,9 per cento. Nello stesso periodo, la rivalutazione del TFR è risultata pari al 2,4 per cento. Osservando la distribuzione dei risultati dei singoli comparti tra le diverse tipologie di forma pensionistica e le diverse linee di investimento, tutti i comparti azionari e buona parte dei bilanciati mostrano rendimenti più elevati rispetto agli altri e al Tfr.
Nell'azionario meno del 10%
Nel panorama dei profili di rischio indicati dai sottoscrittori di fondi pensione restano prevalenti quelli con una quota azionaria bassa o addirittura nulla; i garantiti si confermano preminenti, con il 38% degli iscritti, gli obbligazionari concentrano un ulteriore 13,1%. Nei profili bilanciati si colloca il 39,7% degli iscritti; più esiguo il peso degli azionari, il 9,2%.
È pur vero che negli ultimi anni il peso dei profili garantiti è tuttavia sceso: rispetto al 2018, esso è diminuito di quasi sei punti percentuali a favore soprattutto dei profili bilanciati (2,2 punti percentuali) e azionari (2,8 punti). Nelle tipologie di forma pensionistica, i profili garantiti scendono soprattutto nei PIP (9,4 punti), nei fondi aperti (6 punti percentuali) e anche nei fondi preesistenti (4,2 punti). I profili bilanciati aumentano in particolare nei PIP (5,5 punti percentuali).
Per i profili azionari si registrano incrementi in tutte le forme pensionistiche: 6,8 punti percentuali in più nei fondi aperti, 3,5 punti in più nei fondi preesistenti, quasi 2 punti in più nei fondi negoziali e nei PIP.
In rapporto alle nuove iscrizioni effettuate nel corso del 2022 emerge una maggiore preferenza per i profili di investimento più rischiosi: il 46% ha preferito profili bilanciati e il 16,4%azionari; a quelli garantiti si è iscritto il 28,7% del totale e ai profili obbligazionari il restante 8,9 per cento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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