Primarie Usa, oggi si vota in 24 stati: è super sfida

Oggi il supermartedì: urne aperte in 24 Stati. Barack Obama testa a testa con la Clinton. Il candidato mormone Romney in recupero su McCain

Primarie Usa, oggi si vota 
in 24 stati: è super sfida

Washington - «Si prevedono delle sorprese». È un esempio divertente di surrealismo anche sintattico, ma in bocca a dei fabbricanti di sondaggi non fa soltanto sorridere. Eppure i pollsters se ne servono sempre più spesso nei giorni, nelle ore immediatamente precedenti il voto odierno in due dozzine di stati dell'Unione, quella «super primaria» costruita con tanto anticipo proprio con la speranza che gli elettori americani si chiarissero le idee con anticipo. Troppo anticipo, a quanto pare, e i sondaggi rischiano di saltare come è accaduto nel New Hampshire, solo su scala tanto più vasta. Solo che allora sbagliarono tutti in coro nel prevedere la sconfitta di Hillary Clinton e addirittura il suo ritiro dalla gara.
Stavolta, fatti più savi dall'esperienza, divergono. E non di poco, particolarmente per quanto riguarda i candidati repubblicani. Tutti danno John McCain in netto vantaggio su Mitt Romney, ma le penultime rilevazioni lo davano per «stracciato» (è rispuntata perfino, brevemente, la favola del suo ritiro) mentre lo ultime lo proiettano in vigorosa ripresa, almeno in alcuni Stati, e addirittura a un passo dalla vittoria in California, il premio più ambito che da solo rilancerebbe la sua campagna. Se ne è convinto lo stesso Romney: letti i sondaggi «privati», ha cancellato tutti gli appuntamenti negli altri Stati e si è precipitato a Los Angeles a corroborare con la sua presenza fisica una propaganda televisiva addirittura ossessionante, finanziata in gran parte con fondi propri (fra i 25 e i 30 milioni di dollari). Dei due due ultimi sondaggi pubblici uno lo dà praticamente alla pari con McCain (34 per cento contro 35) e l'altro addirittura in testa di quattro punti. Lo danno in testa anche in Illinois (43 a 40), oltre che, naturalmente nello Utah, culla della religione Mormone, con l'84 per cento; e tuttora molto indietro in quasi tutti gli altri Stati, oltre che nelle intenzioni di voto su scala nazionale.

Che cosa è successo a Romney? O meglio, che cosa sta, o starebbe, succedendo a McCain? Le riserve nei suoi confronti non si diffondono tanto fra gli elettori quanto nell'establishment del partito repubblicano, alcuni dei quali, come il leader «storico» Newt Gingrich e la columnist «ultrà» Ann Coulter, si spingono fino a definirlo un democratico travestito o addirittura un uomo di sinistra. In realtà nessuno è mai riuscito a inscatolare McCain e a dargli un'etichetta.
È certamente un conservatore però sui temi sociali e morali si attira molte critiche per la sua permissività nei confronti dell'aborto e delle nozze tra omosessuali. In politica estera è certamente un «falco», ma di tipo particolare. Era pieno di riserve sulla decisione di Bush di invadere l'Irak, le trasformò in critiche acerbe per il modo in cui la guerra fu gestita per quasi quattro anni da Bush e da Rumsfeld ma poi si fece promotore della «surge» ed è il protettore politico del generale Petraeus. Ma qualche non è «del giro», qualche sospetto è rimasto.

Un fenomeno per qualche verso simile si verifica in queste ore fra i democratici, rilevato e riconosciuto da tutti: la rimonta di Barack Obama, addirittura di ora in ora. I sondaggi sono quasi unanimi: il margine di sicurezza di Hillary Clinton si assottiglia ovunque, spesso si erode.

In Arizona (con pochissimi elettori di pelle nera) si sarebbe ridotto a due punti (41 contro 43) e così nel Delaware, nel New Jersey. Sulla California i «lettori» dell'opinione pubblica si dividono: per un istituto la Clinton è ancora in vantaggio 44 a 40 per un altro il «sorpasso» è avvenuto e le cifre sono capovolte.

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