«Pronto ad aiutare Welby a morire»

Il presidente dell’associazione Exit Italia, indagato per i viaggi all’estero di malati terminali: «Se la legge lo consentisse sarei disposto a staccargli il sondino»

Tony Damascelli

Se ne parla ma stavolta lui ci crede, tanto, molto. Lui è Coveri, di nome fa Emilio, sposato con Liliana, i figli sono due, maschio e femmina. Coveri vive a Torino, il quartiere è quello bello, la Crocetta per intenderci, lo stesso Emilio Coveri è il presidente dell’Exit Italia che di eutanasia si occupa, di dolce morte si usa dire e scrivere come se le due cose potessero andare d’accordo, zucchero e veleno, luce e buio, insieme. Forse. Coveri ci crede, Coveri per questo si batte da anni al punto che la magistratura gli ha spedito un avviso di garanzia, accusandolo di organizzare viaggi all’estero, in terra svizzera, non per esportare capitali ma vite ed esistenze ormai fragili, sul punto di rottura, di non ritorno: «Bravi davvero, mi volevano incastrare, io sono mezzo cieco, il senatore Zancan, mio avvocato, ha spiegato a lor signori che io non ho mai allestito nessun viaggio della speranza, anzi della morte. Siamo tutti registràti, ci seguono, sanno che cosa facciamo ma non possono intervenire perché non c’è nessun reato. Ma adesso le cose stanno cambiando, grazie a Napolitano».
Coveri è a capo, brutta espressione, di una associazione che registra mille e dodici iscritti. Le note di cronaca riferiscono che i viaggiatori sono in aumento, che i suicidi pilotati, assistiti stanno diventando una pratica quasi ordinaria: «Ma a tutt’oggi non mi risulta che nessuno dei nostri sia andato in Svizzera o in Olanda per questo itinerario, anzi lo escludo nel modo più assoluto. Può averlo fatto, forse, qualcuno a titolo personale».
La battaglia dura da anni ma Coveri ha deciso di mettere il punto e andare a capo: «Mi sono iscritto alla Dignitas, l’associazione parallela svizzera. La quota è di 65 euro, allegate ci sono tutte le documentazioni relative. L’uomo deve essere lasciato libero di decidere, non di imporre agli altri, scegliere, voglio dire, la fine della propria sofferenza. Mi spiego: da cattolico e cristiano non me la sentirei di spingere alla morte mia figlia o mio figlio, lo ammetto ma la scelta personale è diversa, di questo si tratta, non di omicidio. E poi non sono, non siamo d’accordo con quello che Sirchia e Veronesi hanno definito accanimento terapeutico. Non c’entra, qui, se uno vuole assumere una dose di pentobarbital lo deve poter fare, seguendo le indicazioni di un medico, di chi è chiamato ad assisterlo. In questa direzione noi appoggiamo ogni iniziativa dell’associazione Luca Coscioni, siamo paralleli nell’opera di sensibilizzazione e di impegno, il nostro testamento biologico comporta responsabilità precise».
Coveri non sfida la legge, queste sono le sue parole: «Non mi metto contro i legislatori, conosco il limite oltre il quale commetterei un reato ma devo essere libero di scegliere e questo farò, il giorno in cui scoprissi di essere affetto da un cancro allo stomaco o al cervello. Mia moglie Liliana è contraria all’eutanasia ma come io rispetto la sua idea, gli altri devono rispettare la mia, la nostra. Il numero di chi sceglie la morte dolce all’estero sta crescendo perché le leggi impediscono, non soltanto nel nostro Paese, questa soluzione. Ora le parole del presidente Napolitano non rappresentano soltanto una speranza ma aprono il dibattito, invitano il Parlamento a occuparsi di un problema che crea fastidi, che provoca spaccature ma il popolo italiano non può essere, come diceva Montanelli, ipocrita e codardo sempre. Ho visto e ascoltato Piergiorgio Welby in quel suo appello al presidente della Repubblica. Due anni fa l’avevo incontrato ma non era nelle condizioni terribili in cui l’ho veduto. Ho chiesto e spero di ottenere l’autorizzazione di inserire quel video e il testo del suo appello sul nostro sito internet.

Se avessi l’opportunità, se la legge me lo consentisse, andrei io personalmente a staccargli il sondino, a interrompere la ventilazione, insomma a rispondere alla sua richiesta. Qualcuno lo deve poter aiutare». Qualcuno, questo è, sarà il problema, mentre fuori diluvia e per qualcuno non c’è nulla di dolce, nemmeno la vita.

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