Sostenibile o no, la denuncia della famiglia Gheddafi alla Corte penale internazionale potrebbe ottenere un risultato: laccertamento dei fatti. «Le versioni che si sono incrociate sulla fine del raìs sono tante, ancora non sappiamo davvero per mano di chi è morto e lintervento di un giudice potrebbe aiutare a stabilire alcune verità». È soddisfatta Nicoletta Parisi, docente di diritto internazionale dellUniversità di Catania e di diritto europeo alla Cattolica di Milano: «La denuncia è un punto di grande legittimazione della Corte dellAia».
Anche Saif, il figlio del raìs, e lex capo degli 007 annunciano di volersi consegnare allAia. Il carnefice si sente vittima. Un paradosso?
«Sì, un revirement. Esponenti di un governo che ha negato la legittimità della Corte quando è stata costituita, oggi si rivolgono a quella Corte per farsi difendere».
Un modo per salvare la pelle?
«Per i Gheddafi, certo, è lultima spiaggia. Il figlio del raìs si consegna per subire un processo piuttosto che essere passato per le armi. La Corte è nata per proteggere i deboli, non i potenti. Ma se la famiglia pensa che la Nato abbia violato il diritto umanitario ha diritto a rivolgersi allAia».
È plausibile che la Nato abbia commesso crimini di guerra con il raid contro il convoglio di Gheddafi?
«Per questo cè un giudice che accerta la violazione di un diritto. Bisognerebbe stabilire se quei raid erano premeditazione di omicidio o parte di unoperazione di guerra».
Lei pensa che la Nato abbia commesso violazioni?
«Io penso che il problema sia politico. Si è scelto un teatro di guerra piuttosto che un altro. Della Siria, per esempio, non si parla più. Gli interessi economici spingono gli eserciti».
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