Qom, la città sacra che assomiglia a un luna park spirituale

La città santa degli sciiti ha perso il rigore voluto dai primi pellegrini e soprattutto dai primi ferventi ideatori delal rivoluzione islamica che proprio qui ha covato i primi focalai. Ora dominano su tutto negozietti, fast food e l'odore inconfondibile del felafel

Qom, la città sacra che assomiglia a un luna park spirituale

dal nostro inviato a Qom (Iran)
Il clima sull'autobus che da Teheran porta a Qom, città santa per gli sciiti, a dire il vero è più profano che sacro. Le due tv di bordo mandano in onda due diverse partite del campionato iraniano, la più seguita delle quali - par di capire sia un derby tra squadre di Teheran, una blu e una rossa - si sblocca su rigore a poco dalla fine, ma sull'azione seguente pareggia la squadra in rosso e il bus esplode di entusiasmo. Strano preludio per l'arrivo nel luogo dove la rivoluzione islamica ha covato a lungo, nelle madrasse e nelle moschee dove Khomeini era di casa prima dell'esilio, per poi arrivare a realizzarsi trent'anni fa. Eppure non è l'unica sorpresa di Qom, uno dei cuori pulsanti dell'islam militante. Quando la corriera imbocca l'uscita dell'autostrada, la prima cosa che si vede fuori dai finestrini è un enorme luna park, metafora profana di quello che riserva la città. È giovedì sera, e il centro pullula di gente. Sono i pellegrini che da ogni parte dell'Iran e da tutti i Paesi arabi vengono qui per rendere omaggio a Fatima, sorella dell'Imam Reza, alla quale è dedicato lo splendido mausoleo che domina la città, l'Hazrat-e Masumeh. Lo volle lo scià safavita Abbas I il grande, che regnò tra XVI e XVII secolo, per dare agli sciiti iraniani un luogo di culto degno di Karbala, ora in terra irachena, allora in mano agli ottomani. E gli scià qajari vollero arricchire ancora il mausoleo di Qom, coprendone la grande cupola di migliaia di piastrelle dorate. Come molti luoghi di devozione in Iran, anche l'Hazrat-e Masumeh è un cantiere aperto: le autorità religiose cittadine stanno ampliandolo ancora, e parte del grande complesso è coperto da impalcature. Le donne, qui, non sembrano concedersi le relative libertà nell'abbigliamento così frequenti a Teheran: tutte tranne rare eccezioni indossano lo chador integrale, molte lasciano scoperti solo gli occhi, qualcuna nasconde anche quelli dietro al burqa. Ma almeno qui lo fanno anche per scelta. Tra la folla spiccano gli studenti delle celebri scuole coraniche della città, e man mano che ci si avvicina a piazza Astana, la spianata da cui si accede al mausoleo, le strade diventano affluenti del mare di folla che preme agli ingressi. Eppure l'aria non è cupa come la si potrebbe immaginare. Sembra una fiera, una grande sagra, anche perché la città tutto intorno è un patchwork di negozietti di souvenir, piccoli fast food e alberghi che traboccano di pellegrini. L'aria si riempie dell'odore dei felafel, che in Iran non sono di casa ma che qui hanno trovato asilo perché i fedeli arabi si aspettano di trovarli. Ci sono famiglie intere che passano la notte sul pavimento in pietra della piazza, stendendosi su grandi coperte portate da casa. Essere qui non per pellegrinaggio garantisce l'impossibilità di passare inosservati: sarà che in farsi gharibe vuol dire straniero e gharb occidente, ma molte teste si voltano quando i due turisti si avvicinano agli ingressi del mausoleo. «Italiani», ripete divertito leggendo la carta d'identità il ragazzo che consegna gli chador «in prestito» alle donne non abbastanza coperte per poter accedere al cortile interno del mausoleo. Poi invita un gruppo di ragazzine ad aiutare la straniera poco avvezza a indossare il lenzuolo, e a dire il vero l'appello viene raccolto con giocoso entusiasmo. Dentro sono in migliaia sui tappeti orientati verso la Mecca, e altrettanti che si mettono in fila per accedere al sepolcro, proibito agli infedeli. Ma al di là degli sguardi severi dei Mullah, e al di là di quello che questa città rappresenta per gli sciiti e per la stessa storia recente del Paese, la cifra prevalente, qui, non sembra essere il fanatismo. Forse è la devozione quella che, per una volta, qui a Qom sembra mettere d'accordo gli iraniani e i leader religiosi che li governano. Devozione assorta e grave quella dei molti religiosi, folkloristica e quasi nazional-popolare, quella della maggior parte dei pellegrini. Tanti pregano, ma tantissimi mangiano e scherzano, parlano al telefono e si scattano foto con i cellulari.

Gruppi di ragazzine si scambiano confidenze e assaggi di kebab sedute in circolo, e i bambini si inseguono scatenandosi sui tappeti che coprono l'intero cortile, ignorando i richiami rassegnati delle madri. Straniante. Un luna park spirituale, ancora più scintillante, luminoso e rumoroso di quello vero visto dall'autobus.

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