«Arrangiatevi» urlava Totò da una finestra arringando la piccola folla sottostante per poi proseguire «Piantiamola con queste nostalgie, ormai li hanno chiusi!». E il riferimento era proprio a «quei luoghi» che chiusi lo erano per definizione e sui quali, pochi mesi prima, era calata la scure della senatrice Merlin. Il 20 febbraio 1958 infatti il Parlamento aveva approvato la legge che porterà in seguito il nome della senatrice socialista, con la quale veniva imposto entro sei mesi la cessazione di ogni attività nelle case di tolleranza. E già l'anno dopo usciva nelle sale cinematografiche un film di Mario Bolognini dall'eloquente titolo «Arrangiatevi».
Già con l'approvazione della legge numero 75, ma chi se lo ricorda più il numero, gli italiani dovettero imparare ad arrangiarsi: niente più flanella nei divanetti, «educazione sessuale» per i giovani, compagnia per anziani. O almeno nelle buone intenzioni della padovana Angelina «Lina» Merlin, parlamentare socialista dal dopoguerra al 1963. Che poi la prostituzione si sia trasferita in strada è un'altra discorso. Maestra elementare, nata a Pozzonovo nel 1887, iniziò la sua militanza nel Psi nel dopoguerra. Dopo gli anni del fascismo, durante i quali finirà più volte in galera, e della Resistenza, a cui prenderà attivamente parte, verrà eletta prima alla Costituente nel 1946 poi in Parlamento nel '48, '53 e '58 nel collegio senatoriale di Rovigo. Diventando subito nota per la sua battaglia contro le case di tolleranza.
La normativa poneva dunque fine a una tradizione secolare diffusa non solo in Italia ma in tutte le culture e ogni epoca storica, si pensi ai lupanari di Pompei con gli affreschi erotici alle pareti. Che poi altro non erano se non la possibilità per gli stranieri, la città prima di essere distrutta dal Vesuvio era un fiorente centro di commerci internazionali, di chiedere la prestazione «raffigurata» nel dipinto. Non a caso la prostituzione è per definizione il «mestiere più antico del mondo». In alcune civiltà antiche la prostituzione sacra era una sorta di sacrificio espiatorio cui le donne erano obbligate a sottoporsi una volta nella vita devolvendo i proventi ai tempi delle divinità protettrici. A Roma la prostituzione era praticata quasi esclusivamente da schiave come anche in Grecia, dove vestivano con abito distintivo e pagavano le tasse. Qui però «esercitavano» anche cortigiane di elevato livello culturale, le «etère»(compagne) che in alcuni casi riuscivano ad accumulare notevoli ricchezze ed esercitare, una certa influenza sulla vita politica e sociale. Particolarmente famose in Atene la milesia Aspasia, compagna dello statista Pericle, e la tespiese Frine, amante dell'oratore Iperide. La più clamorosa ascesa sociale di una prostituta rimane però quella di Teodora che sposato Giustiniano nel 527, divenne imperatrice dell'impero romano d'oriente.
Le prostitute e le case di tolleranza proliferano nei secoli senza che nessuno si preoccupasse di regolarne l'attività fino al Medioevo, la prima legge in materia fu promulgata infatti al 1432 nel Regno delle Due Sicilie. I bordelli erano comunque molto diffusi anche a Venezia, considerata per secoli una delle città più licenziose al mondo, tanto che ancor oggi sopravvive nei pressi di Campo San Barnaba il sottoportego del Casin dei Nobili. La prostituzione divenne presto «tollerata» e regolamentata ovunque, persino nello Stato Pontificio. Cavour introdusse nel Regno di Sardegna il «meretricio di Stato» lungo il percorso delle truppe di napoleoniche nella seconda Guerra di Indipendenza, sul modello di quanto già esisteva in Francia. Legge poi estesa dopo l'Unità in tutta Italia. In essa lo Stato fissava prezzi e modalità a seconda della categoria e in base al mutato costo della vita. Per questo divennero subito molto popolari due ministri degli Interni: Urbano Rattazzi, fissando in 20 minuti il tempo di una prestazione «base», e Giovanni Nicotera, dimezzando il prezzo di una «semplice» nelle case di terza classe, con ulteriori sconti per soldati e sottufficiali. Il fascismo non fece altro che proseguire su questa linea emanando nel 1931 un Testo Unico con cui introduceva alcune restrizioni e obbligava le prostitute a farsi schedare in questura e a sottoporsi a periodici controlli sanitari.
Nel dopo guerra lo scenario cambiò completamente. La Francia fu la prima a «chiudere» nel 1946, ben presto seguita da altre Nazioni. Negli anni Cinquanta in Italia Lina Merlin iniziò la sua crociata che la sottopose a continui lazzi e sberleffi da parte dei suoi oppositori politici, ma anche molti compagni di partito. «Ma quando xe che la more?» fu sentito esclamare Franco Bellinazzo, funzionario della federazione di Rovigo. Tra i più strenui oppositori ci fu anche Indro Montanelli che nel 1956 pubblico «Addio, Wanda!», nel quale scriveva: «In Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia». Ma la caparbia senatrice l'ebbe vinta e proprio alla fine della sua seconda legislatura, venne approvata la legge 75 di cui era prima firmataria. Con essa si dava tempo sei mesi per chiudere le case rimaste in attività, dal 1948 del resto il ministero degli Interni aveva smesso di concedere nuove licenze, e veniva introdotto il reato di sfruttamento.
La cosa gettò nel più cupo sconforto una parte dell'opinione pubblica e la questione si riflesse in molte pellicole d'epoca come appunto «Arrangiatevi», in cui Totò segue il genero Peppino di Filippo che, non avendo altre risorse, è costretto a portare la famiglia a vivere in una ex casa di tolleranza per questo affittata a un prezzo irrisorio. Con conseguente catena degli equivoci fino a quando appunto Totò spalanca le finestre e inizia a urlare a una speranzosa folla di soldatini, tradizionali e affezionati clienti dei bordelli: «E lo volete un consiglio, militari e civili, piantiamola con queste nostalgie! Oltre che incivile, è inutile! Oramai li hanno chiusi! A voi italiani è rimasto questo chiodo fisso, qui. Toglietevelo! Oramai li hanno chiusi! Arrangiatevi!».
Ma la nostalgia non passò tanto presto visto e nel 1965 Giancarlo Fusco pubblicò «Quando l'Italia tollerava» con racconti e testimonianze pieni di rimpianto di Alberto Bevilacqua, Giovanni Comisso, Dino Buzzati, Luigi Silori, Mario Soldati, Ercole Patti, Cesare Zavattini e Vincenzo Talarico. Un dibattito mai completamente chiuso, visto che in Italia si torna a parlare con insistenza di «riaprire» le case come hanno già fatto altri Paesi europei. Anche perché secondo l'ultima indagine della commissione Affari sociali della Camera, in Italia si prostituirebbero dalle 50 alle 70mila donne con 9 milioni di clienti. Almeno 25mila sarebbero immigrate, 2mile minorenni e altrettante ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. Il 65 per cento lavora in strada, il 30 in albergo, il resto in case private.
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