Quando D’Alema spingeva il Carroccio

Paolo Armaroli

Carlo Amedeo Giovanardi ha due nomi e da lunga pezza si è fatto un cognome. Prima come consigliere comunale a Modena dal 1975 al 1980. Poi come consigliere regionale nella sua Emilia Romagna dal 1980 al 1992. Infine come membro della Camera da ben quattro legislature. Nonostante questo popo' di curriculum, non ha l'età di Matusalemme. Perché è nato il 15 gennaio 1950. Precoce in tutto, si è laureato giovanissimo in Giurisprudenza. Avvocato, è stato procuratore presso l'ufficio legale di un istituto di credito. Il segreto di tanta vitalità è che non si concede mai un attimo di riposo.
Da quando è ministro per i Rapporti con il Parlamento, dopo aver passato decenni all'opposizione, Giovanardi è il cocco dei suoi colleghi di governo. Non solo perché sprizza simpatia da tutti i pori. Non solo perché è leale a tal punto che gli starebbe a pennello una divisa: o quella di carabiniere, che ha indossato durante il servizio militare, o la tonaca da prete, anche per via di una qual certa somiglianza con il don Camillo magistralmente interpretato da Fernandel. Ma soprattutto perché come tappabuchi è insuperabile. I ministri, si sa, sono sempre indaffarati con se stessi e talvolta impossibilitati a rispondere in Parlamento agli atti di sindacato ispettivo. Per fortuna c'è Carletto, di lui ci si può fidare. Non dice mai di no. S'offre senza soffrire. Anzi, si diverte un sacco.
Si tratti di interrogazioni semplici o di question time, di interpellanze comuni o urgenti, in prima linea c'è sempre lui alla Camera come al Senato: Carletto. Anche quando legge pappardelle che non sono farina del suo sacco, ci mette sempre qualcosa di suo. Una battuta a effetto. Un aggettivo o un avverbio azzeccati. O magari solo il timbro di una voce calda come quella degli emiliani purosangue. Risponde a tutti e su tutto.
Non ha deluso alla Camera neppure giovedì scorso, quando ha replicato a ben quattro interpellanze urgenti assolutamente identiche rivolte al presidente del Consiglio, presentate dai vari gruppi di opposizione e illustrate dal rifondarolo Russo Spena. Che, manco a dirlo, ha denunciato l'assenza in aula del capo del governo ed è stato rimbeccato dal presidente Casini con una lezioncina di diritto parlamentare volta a dimostrare che nello svolgimento di atti di sindacato ispettivo l'importante è che sia presente un rappresentante del governo.
Le sullodate interpellanze hanno preso di mira quei leghisti che al Parlamento europeo hanno contestato il presidente Ciampi per via degli elogi tributati all'euro. Un gesto condannato senza mezzi termini da Berlusconi e in aula da Giovanardi. Il ministro, che è solito non mostrare evangelicamente l'altra guancia, ha a sua volta denunciato i due pesi e le due misure degli esponenti di centrosinistra. Perché quando la Lega faceva comodo, nonostante predicasse la secessione nel sedicente Parlamento di Mantova, D'Alema e compagnia cantante la lisciavano per il verso giusto e addirittura sostenevano - facendosi del male come un qualsiasi Tafazzi - che era una costola della sinistra. Oggi che invece ha ammainato la bandiera della secessione e alzato il vessillo di un federalismo al quale più nessuno dice di no, la Lega viene demonizzata per il semplice motivo che è parte integrante della Casa delle Libertà. Non sappiamo se scartabellando l'Enciclopedia Treccani, il Carletto nazionale si sia imbattuto in Von Clausewitz.

Ad ogni modo sa per esperienza che la migliore difesa è l'attacco. Tant'è che il tartassato Spena ha rinunciato alla replica, consapevole di essere andato per suonarle e di essere stato bellamente suonato.
paoloarmaroli@tin.it

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