Quando Franklin si prese gioco della «grandeur»

Ruggero Guarini

Come si accinge l’Italia liberal e progressista a festeggiare il trecentesimo anniversario della nascita di Benjamin Franklin? Forse bisognerebbe innanzitutto ricordare quel capitolo leggendario della storia dell’illuminismo napoletano che fu il lungo sodalizio filosofico tra Franklin e Gaetano Filangieri. Capitolo davvero glorioso, visto che fu proprio grazie alla scoperta e allo studio, da parte di Franklin, delle opere di Filangieri, e alla fitta discussione epistolare, durata fra loro ben cinque anni (1782-1787), sui princìpi giuridici e politici esposti in quel libro, che alcune delle idee dello studioso napoletano poterono influenzare la stesura della Costituzione degli Stati Uniti.
Ma quando si celebra Franklin, insieme alla storia dei suoi rapporti coi Lumi napoletani, che egli trovò sempre illuminanti, bisognerebbe evocare anche quelle dei suoi rapporti coi lumi francesi, che egli ovviamente ammirò e rispettò sempre. Fuorché in un’occasione, nella quale osò farsene beffe. Trattasi infatti di un episodio che potrebbe intitolarsi «La burla di Passy», ovvero la boria gallica punita dall’amico americano. Ma il titolo più pertinente sarebbe «Introduzione alla storia dell’antiamericanismo francese».
L’episodio accadde verso la fine degli anni Settanta del XVIII secolo, quando Franklin era ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi, e si svolse nella sua villa nel sobborgo parigino di Passy, dove egli aveva invitato a pranzo un drappello di ospiti illustri. Ma quella sera – essendo da un pezzo era irritato per certe sciocche teorie divulgate da alcuni dei più reputati studiosi francesi sui tratti antropologici degli abitanti del Nuovo Mondo – egli aveva deciso di impartire a quei sapienti una piccola umiliazione.
Alla base di quelle teorie c’era l’idea che nelle regioni del Nordamerica, a causa di un clima malsano, l’intera Natura appariva anemica e sfibrata. Sicché tutte le specie animali, e anche la specie umana, presentavano evidenti tratti di inferiorità fisica e morale. Animali sempre più piccoli, meno robusti e codardi di quelli europei; uomini e donne anch’essi più gracili, bassi e indolenti; gli stessi europei emigrati in quelle terre condannati a subire nel giro di poche generazioni un grave processo degenerativo: queste le più grottesche delle tante annotazioni sparse negli scritti di quei sapienti. Fra i quali spiccavano un molto apprezzato trattatello di Buffon (Dégénération des animaux) e una fortunata operona dell’abbé Raynal (Histoire des Deux Indes).
Quella sera l’ospite d’onore era appunto Raynal. Gli altri convitati erano un gruppetto di francesi, un numero uguale di americani e alcuni altri commensali raggruppati per nazionalità. La conversazione a un certo punto cadde sulla faccenda della «piccolezza» degli americani.

Franklin allora invitò tutti ad alzarsi in piedi e il risultato fu che si poté constatare che mentre tutti gli americani erano i più alti del gruppo, il più piccolo di tutti («una specie di nano» secondo Thomas Jefferson, al quale Franklim narrò l’episodio) era proprio Raynal. Il quale comunque accettò di buon grado lo scherzo. E nelle edizioni successive del suo libro introdusse alcune caute correzioni alla sua teoria della fiacchezza della Natura americana.
guarini@virgilio.it

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