Quando il regime dava ordini alla stampa

Il 4 agosto del '43 si intima: nessuno deve più occuparsi dell'Ovra (la polizia politica). Appunto per il 29 settembre: "Mandare a ritirare l'articolo di fondo al ministero"

Romain H. Rainero, docente di Storia contemporanea alla Statale di Milano, ha scritto un saggio sui fogli d’ordine inviati alla stampa di regime tra il 25 luglio 1943 e la Liberazione (Franco Angeli, pagg. 310, euro 22). Non vengono esaminate, dunque, le disposizioni emanate dal Minculpop negli anni del Mussolini trionfante, ma quelle del suo periodo lacustre, da vassallo dei nazisti. Preceduti, i testi di Salò, da quelli, molto interessanti, dei 45 giorni badogliani: una parentesi equivoca e ipocrita, durante la quale il «la guerra continua» e le professioni di fedeltà all’alleato tedesco si intrecciarono con le pasticciate iniziative per uscire dal conflitto.

Vittorio Emanuele III e Badoglio erano pavidi e irresoluti, la loro declamata severità militare somigliava a un fascismo senza fascismo. D’impronta inequivocabilmente littoria furono i diktat alla stampa. Ne scelgo alcuni. 26 luglio 1943: «Gli avvenimenti odierni debbono costituire un rafforzamento e non un indebolimento di tutte le attività nazionali. Evitate qualsiasi recriminazione e qualsiasi accenno sia alla caduta che al nome del fascismo». 27 luglio: «È rigorosamente vietato qualsiasi cenno critico od ostile, sia pure velato o indiretto, agli alleati dell’Italia». 4 agosto: «Si raccomanda di non occuparsi più in alcun modo dell’Ovra \». 8 agosto: «Si ribadisce la necessità di una attenta sorveglianza degli organi di stampa e su ogni movimento di pensiero (sic!) che ad essi possa far capo». 26 agosto: «Non occuparsi ulteriormente di Toscanini». 28 agosto: «Si può riportare la notizia dell’arresto della Petacci ma senza commenti». 30 agosto: «L’affare Petacci deve ritenersi completamente esaurito». 31 agosto: «Il 1º agosto 1940 è stata data una disposizione che proibiva di inserire nei giornali annunci funebri degli ebrei. Tale disposizione è abrogata». 6 settembre: «Si chiede obiettiva e serena moderazione nella critica al passato regime e massimo rispetto alle persone e al prestigio dei Sovrani, dei principi di Casa Reale, del sommo pontefice, del Capo del governo e dei Capi delle nazioni alleate» (l’armistizio con gli anglo-americani era già stato firmato il 3 settembre a Cassibile, eravamo in quel momento alleati di tutti e nemici di tutti). Infine l’8 settembre: «I giornali commenteranno il messaggio del Capo del governo in modo sobrio e austero, dimostrando come la richiesta dell’armistizio sia stata una triste necessità e segni un’ora di lutto per la Patria. Nel commento al messaggio del maresciallo Badoglio aggiungere parole di omaggio al Sovrano. Il messaggio va listato a lutto».

Rainero commenta poi - e riproduce in appendice - le disposizioni che la stampa ricevette durante l’ultimo fascismo. La repubblica di Mussolini era dal punto di vista dell’informazione - e sotto stretto controllo tedesco - un caos d’iniziative, di pubblicazioni, di contraddizioni. Il Duce di Salò, privato di ogni suo effettivo potere, aveva preservato dal declino le sue qualità di giornalista. La Storia di un anno, pubblicata dal Corriere della Sera e rievocante il crollo del regime, è un esempio di eccellente narrazione. E le «corrispondenze repubblicane» mantenevano, quando erano di suo pugno, tracce evidenti del talento polemico d’un tempo.

Resta un classico di menzogna la nota con cui l’11 settembre ’43 fu annunciata la resa italiana: «Le forze armate tedesche hanno assunto la protezione del suolo italiano. Elementi incoscienti e criminali si sono opposti alle truppe germaniche. L’ordine è stato ristabilito. Chi sarà trovato in possesso di armi sarà, in base alla legge marziale, fucilato». In quelle settimane il Minculpop provvedeva a fornire ai quotidiani articoli già pronti. 29 settembre: «Mandare a ritirare l’articolo di fondo al ministero». Poi la misura parve eccessiva anche a tedeschi e fascisti. 29 settembre: «Rapporto del ministro ai redattori responsabili dei giornali. Verrà soppresso l’invio degli articoli ai giornali i quali dovranno pertanto provvedere a farli compilare dai propri redattori». Molte le disposizioni concernenti i «traditori» del Gran Consiglio e la loro sorte.

Ma le citazioni potrebbero essere tante ancora. Mi limito a citare l’ultima nota, surreale, del 22 aprile ’45. «Corrispondenza repubblicana di Mussolini. Cronaca anticipata di un discorso inatteso (Polemiche dell’Honduras contro l’Urss)». L’Honduras!

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