Quando sono i loro i conti li sanno fare

Dell'Espresso non mi capita frequentemente di condividere le tesi politiche: ma alle sue inchieste sul malcostume dei palazzi italiani va la mia ammirazione. Adesso, con «Svendopoli», il settimanale denuncia le condizioni di stupefacente quando non sconvolgente favore praticate a esponenti dell'italica nomenklatura per i loro acquisti di case. «Svendopoli» può essere considerata il sèguito di quell'«affittopoli» che segnò un momento importante nella storia del Giornale. Come allora la reazione è rabbiosa. Si tenta di dimostrare che tutto è in regola. Sarà che i politici hanno imparato da re Mida e trasformano in oro (o in immobili) ogni centesimo delle loro sostanziose economie; sarà che questa capacità di investire bene sembra aver trovato talenti straordinari là dove meno ce li saremmo aspettati. E allora dov'è lo scandalo?
È, per dirlo con chiarezza, proprio nel fatto che in più d'un caso gli scialacquatori di denaro pubblico incapaci di metter freno al dilagare della spesa, e i demagoghi che sanno suggerire per le finanze del Paese solo sussidi, spreco, assistenza, inefficienza, si rivelano oculati e bravissimi quando si passa dal pubblico al privato. Le aziende di Stato hanno presentato per decenni conti in profondo rosso, causati da operazioni demenziali, senza che le Alte Autorità avessero un fremito di preoccupazione: ma queste stesse Alte Autorità sono state e sono ineguagliabili nel far compere bazar del mattone.
Anche rivoluzionari, che vedono l'accumulazione capitalistica come qualcosa di diabolico, ritengono - se si viene al punto - che sia meglio avere un tetto di proprietà, non in una Comune e nemmeno in affitto. E così nel 2004 Maura Cossutta s'è assicurata a prezzo davvero ottimo (165mila euro) un appartamento di sei vani vicino al Vaticano. Imparino, i tanti figli e figlie italiani senza padre importante, a farsi casa con esborso limitato. Imparino e imitino, se ci riescono.
Ma l'amara verità è che non ci riescono, non potrebbero mai riuscirci, e che a nessuno di noi poveracci capiterà l'occasione - capitata invece a Franco Marini - di 14 vani catastali su due piani nel quartiere Flaminio per un milione e duecentomila euro; o gli otto vani a Walter Veltroni (quartiere Nomentano, 2005) per 377mila euro. Potrà essere contestato qualche dato. Ma, benché incapaci di operazioni così brillanti, non siamo sciocchi al punto di ritenere che tutto questo avvenga per meccanismi normali e moralmente leciti (anche quando lo siano dal punto di vista giuridico e formale). La cessione dell'appartamento a condizioni di sogno può essere fatta da un ente previdenziale o comunque pubblico che quando vende il suo patrimonio immobiliare non trascura gli amici, e gli amici degli amici, e coloro che all'ente furono utili, e coloro che potranno esserlo in futuro. Ma anche quando la cessione avvenga in un ambito che all'apparenza è totalmente privato, non crediate che legami, connessioni, compromissioni siano ignorati.
Tutto ciò ispira disagio, e se del caso disgusto, al cittadino comune.

Ne ispira in particolar modo se l'affarone benefica - e non diciamo che sia la regola, ma è molto frequente - un personaggio del centrosinistra. Magari uno di quelli che si ergono a paladini dei lavavetri, ma più che dai vetri sono interessati dai muri.

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