Quando le toghe di Mani Pulite scrivevano alla signora Contrada

Di Pietro è stato tra i più severi accusatori dell’ex dirigente del Sisde e l’Idv è sempre stata contraria alla grazia. Ora spuntano bigliettini di solidarietà

Roma - Tra i destinatari del libriccino contenente le lettere del marito dal carcere che Adriana Contrada fece girare dopo l’arresto dell’ex dirigente del Sisde condannato nel ’92 a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa, c’erano anche Antonio Di Pietro e Francesco Saverio Borrelli. Entrambi, nella primavera del ’94, si premurarono di risponderle con garbati biglietti.
Il leader dell’Italia dei valori, che ha sempre negato di conoscere Bruno Contrada (nonostante l’altro ieri lo stesso ex pm avesse parlato di foto che lo ritrarrebbero a cena in compagnia dell’ex numero due degli 007), la ringrazia del pensiero e si immedesima nelle sue sofferenze. «Capisco il suo vero stato d’animo e le auguro di ritrovare, assieme a suo marito, la serenità», scrive Di Pietro allora ancora pubblico ministero su carta intestata della Procura di Milano. Cordiale in privato, dunque, sempre pungente in pubblico, l’ex magistrato è stato tra i più agguerriti oppositori, come del resto molti del suo partito, della grazia a Contrada. Anche Borrelli scrive alla signora Contrada, di suo pugno, parole di sentito apprezzamento. «Comprendo il suo stato d’animo - si legge nel bigliettino - e soffro con lei. Ammiro il suo coraggio, rispetto la sobrietà delle parole con cui ha voluto chiudere il libro, e la esorto ad avere speranza, speranza, speranza». Un’esortazione che inevitabilmente rimanda al «resistere, resistere, resistere», con cui l’ex capo del pool Mani pulite concluse nel 2002, nel secondo anno del secondo governo Berlusconi e alla fine di Tangentopoli, la relazione dell’anno giudiziario facendo riferimento al naufragio della coscienza civica e alla perdita del senso del diritto. «Vorrei chiederle a mia volta comprensione. È troppo?», conclude Borrelli. «Due biglietti - spiega il difensore dell’ex funzionario del Sisde, Giuseppe Lipera - tra le centinaia ricevuti dalla signora Contrada dai più alti vertici delle istituzioni dell’epoca».
L’Italia dei valori non è soltanto il partito che più di ogni altro si è battuto contro la grazia chiesta dall’avvocato Lipera, ma anche quello che non ha mai nascosto la soddisfazione per la condanna dell’ex funzionario del Sisde e che ha criticato le istanze di differimento della pena o di detenzione domiciliare per motivi di salute presentate al Tribunale di sorveglianza. Il 19 luglio del 2007 Di Pietro pubblica sul suo blog un pezzo in cui chiede alla Procura di Caltanissetta «il motivo dell’archiviazione delle indagini relative alla pista del Castello Utveggio». «Eppure - scriveva - proprio da questo luogo partirono, subito dopo l’attentato, delle telefonate dal cellulare clonato di Borsellino a quello del dott. Contrada, oggi finalmente condannato in via definitiva dalla Cassazione». «Finalmente condannato», evidenzia dunque uno scatenato Di Pietro sul web.
Il fido Luigi De Magistris, in un articolo sugli inquinamenti istituzionali pubblicato da Antimafia Duemila, non è da meno. «La trattativa entra nel vivo e operano - scrive l’eurodeputato dell’Idv - con spregiudicatezza al limite dell’eversione, pezzi deviati delle istituzioni: all’interno dei servizi (il ruolo di Contrada al Sisde) ed esponenti di primo piano del Ros». A Di Pietro la questione della grazia non è mai andata giù, sempre pronto a rimarcare che una cosa è la clemenza, un’altra le condizioni di salute per uno che ha scontato soltanto «sette mesi» di carcere: «La grazia non può essere una scorciatoia». Dichiarazioni cui ha prontamente replicato il legale di Contrada, ricordando a Di Pietro che l’ex 007 ha già scontato oltre tre anni e sottolineando la differenza tra «richiesta di differimento della pena per gravissimi motivi di salute e grazia».

Contro un eventuale atto di clemenza si sono espressi anche i familiari di alcune vittime di mafia, tra cui l’eurodeputata dell’Idv Sonia Alfano, figlia di un giornalista ucciso dalle cosche: «Lo Stato, avanzando l’ipotesi di concedere la grazia a Contrada, continua a non perdere l’occasione per riaprire ferite dolorose e per non schierarsi dalla parte di chi ha creduto in questo stesso Stato sino all’estremo sacrificio». Per Franco Barbato, sempre dell’Idv, Contrada «già servitore dello Stato e poi condannato per mafia è colpevole due volte».

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