Quanta eleganza nel «Figaro» dell’Accademia

nostro inviato a Dujiangyan

Beethoven nella culla della musica taoista, il suono che si perde nella notte dei tempi. Ai piedi di un tempio buddista e del sentiero di montagna che porta alla Grande diga che nel 250 avanti Cristo rese fertili queste pianure. E l’Ave Maria di Schubert, soavemente cantata da Anita Selvaggio, alla maledetta ora che queste pianure e queste montagne ai confini del Tibet ha sconvolto. Alle 14.28 del 12 maggio scorso l’intero Sichuan subì un terribile terremoto: ottavo grado della scala Richter, 80mila morti solo quelli accertati. «Anche se siamo stati duramente colpiti, è l’amore che domina il mondo», dice il sincretico e potente segretario del Partito comunista di Dujiangyan, città di oltre mezzo milione di abitanti (oggi circa centomila senzatetto). L’amore toglie, l’amore dà, aggiunge il vecchio saggio: talora come segno d’amicizia, di condivisione del dolore.
Amore dell’uomo e amore della musica fusi nella stessa armonia vitale. E dunque musica d’autore, per lo più italiana, nella Cina più inaccessibile. L’Orchestra Sinfonica della Fondazione Roma arriva fin qui per dare il suo contributo alla rinascita: gli incassi di quattro concerti nelle ricche Pechino e Shangai. Occhio e croce, duecentomila dollari, mica bruscolini. Serviranno per finanziare una scuola di musica occidentale che farebbe felice il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele Emanuele, patròn della tournée umanitaria.
L’idea nasce dal prestito del tesoro della Città proibita, esposto lo scorso inverno nel Museo del Corso (anch’esso della Fondazione). «Dovevamo portare qualcosa di nostro in Cina», spiega Bruno Piattelli, presidente dell’Ars Accademy, che dell’Orchestra è la casa madre. E che cosa c’è di meglio del centinaio di ragazzi che compongono la Sinfonica diretta dal maestro Francesco La Vecchia? Accoglienza calorosa in ogni teatro, e crescente per il preludio del Guglielmo Tell, la Quarta sinfonia di Brahms, i Vespri verdiani, l’overture della Turandot pucciniana. Persino per i più complessi Respighi e Martucci (che La Vecchia punta a riscoprire anche in Italia, avendo già inciso per Naxos l’edizione completa delle opere in cd). Infine, naturalmente, l’Eroica beethoveniana eseguita davanti agli eroi della città terremotata: pompieri, infermieri, medici, volontari.
Energia pura, energia armonica, sintetizzabile soltanto per musica. Una chiave che funziona, da quando l’orchestra sinfonica giovanile, interamente privata, è diventata una della realtà più originali nel panorama italiano, che riempie i teatri di giovani, la cui età media è la stessa dei bravissimi professori d’orchestra. «Una piccola grande rivoluzione», dice iperbolicamente La Vecchia. Convinto, assieme alla Fondazione, che sia la montagna a dover andare a Maometto, e la musica a dover essere portata là dove più serve.

Persino tra le macerie di un terremoto cinese. Nel Paese che freme per crescere e ha fame di tutto, anche di Beethoven e Brahms, Verdi e Rossini. «Cibo per la nostra mente», ringraziano infatti le autorità locali, e non sembra un seme gettato nel vuoto.

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