Quattro obbiettivi puntati sull’Oriente

La Cina, il Vietnam, la religiosità dei lama tibetani: gli scatti che aprono una finestra su un mondo affascinante e contraddittorio...

Gli antichi ritmi dell’Oriente, le sue inarrestabili trasformazioni, le folle vocianti dei mercati e i monasteri millenari avvolti nel silenzio: diario dall’estremo Est del mondo, dove la gente ha occhi lunghi, giorni appesi tra due ideologie che convivono senza disturbarsi troppo. Cronaca dell’Asia fatta su misura per noi, per il nostro interesse, e che arriva al cuore passando attraverso l’arte. Attraverso la fotografia, per essere più precisi: quattro mostre di immagini, attualmente in corso, raccontano quei luoghi, scandendo istanti che sono l’essenza di una geografia lontana e di un sentire tanto differente dal nostro.
In «Impero. Impressioni dalla Cina», personale del fotografo americano James Whitlow Delano aperta fino al 20 novembre alla Triennale di Milano (progetto dell’agenzia Grazia Neri, catalogo 5 Continents Editions), un’ottantina di scatti evanescenti aprono una finestra su una civiltà che oggi ci pare di conoscere, ma che non comprenderemo mai completamente. L’autore si è recato in Cina una cinquantina di volte, ha percorso sentieri inesplorati, vivendo con intensità le stesse situazioni che ha registrato, restituendocele come un racconto, come allusioni, come un dono. Osserva la vita reale, l’ha attraversata, facendola passare davanti alla fidata Leica con obiettivo 35 mm e garbatamente inquadrandola. Ha usato il bianco e nero e la tecnica del viraggio caldo. Si è mosso in punta di piedi, tra villaggi e sentieri e corsi d’acqua, per non farsi notare, cercando il dettaglio che spieghi il tutto. Nessun sensazionalismo, solo osservazione del quotidiano, apparentemente in ordine casuale. Il senso generale è di smarrimento, di soffocamento. Nostro e loro. Per i rapidi mutamenti della società, per una «cinesità» che va scomparendo incontro al progresso.
Altra faccenda è la personale che Palazzo Santa Margherita di Modena dedica a Melina Mulas. «Il terzo occhio» (catalogo 5 Continents Editions), questo il titolo: fino al 29 gennaio sono esposti sessanta ritratti ai lama tibetani, dove protagonisti assoluti sono la millenaria tradizione spirituale e gli sguardi profondi e inattaccabili che in essa trovano forza. L’autrice ha svolto vent’anni di ricerca, sotto la guida dello stesso Dalai Lama, spostandosi in India, Sikkim, Francia, Austria, Nepal, Svizzera e Italia per incontrare i maestri più rappresentativi. Le immagini esposte non hanno niente di esotico o ammiccante, il campo è ristretto alla persona, è un bianco e nero che esalta la fierezza e la tolleranza di una cultura, dove l’obiettivo si fa veicolo di un dialogo non violento tra noi e loro.
Il Vietnam è invece protagonista di due mostre milanesi. Patrizia Di Fiore espone alla Galleria Fnac di Milano fino al 30 novembre. In bilico tra storia e futuro, tra il furore di allora e la calma del XXI secolo, l’artista cerca ancora tracce della guerra e della memoria rimasta di quella violenza nel popolo sopravvissuto. La Di Fiore si spinge ai limiti di questo lontano Paese per cercare anche se stessa e il suo Occidente.

Un’altra indagine sul Paese ci viene dalle opere di Roberto Ferrario, fino al 18 novembre allo spazio Guicciardini: in «Vietnam 30 anni dopo» le 40 immagini, tra sentimenti di gioia e malinconia, testimoniano i progressi della società a trent’anni dalla riunificazione. Una mostra che ha anche lo scopo di raccogliere fondi per l’associazione Care the people e per il progetto «Ospedale Amico».

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