Quei 13 colpevoli per Sarah: troppe comparse, poca verità

di A un anno di distanza, i fatti veri e propri si riducono a uno, e uno soltanto: Sarah Scazzi è morta. È stata trovata, nuda, dentro un pozzo.
Il resto è un incubo senza fatti, senza realtà. Uno zio che continua a inventare versioni diverse del delitto, una zia e una cugina che forse sono le autrici materiali o forse no, un movente ridotto alla fragile storiella dell’infatuazione delle due cugine per lo stesso ragazzo, avvocati che ostacolano il corso della giustizia, un fioraio che fornisce una nuova versione dei fatti per poi dire che era stato solo un sogno, e poi altri due cugini e altri ancora. Una folla che è una somma di zeri.
Nessuna risposta è stata trovata alle domande più elementari, quelle cui gli inquirenti cercano di rispondere nelle fasi preliminari dell’istruttoria. Per esempio, Sarah raggiunse o no la casa degli zii?
Dovunque ci si volti, è tutta una selva di «boh». Eppure lunedì avrà inizio un processo dove figurano tredici imputati. Sembra, come detto, che una folla abbia assistito alla morte di Sarah. E che questa folla non solo non voglia, ma non sappia dire nulla.
Ricordo quello che scrisse anni fa De Cataldo - che è scrittore e magistrato - a proposito della legge italiana, che è mal fatta e favorisce i delinquenti e gli avvocati senza scrupoli, creando ostacoli a non finire per chi cerca, viceversa, di ricostruire la verità. Ma anche questa non è che una conseguenza, una delle tante, di un altro problema, più radicale: una sorta di incapacità cronica di guardare i fatti per quello che sono, di dire pane al pane.
La mia forte impressione è che chi ha compiuto quegli atti, chi ha assistito e chi interpreta le leggi facciano parte di un’unica confusione, di un’unica irresponsabilità che ha avuto, altroché!, i suoi maîtres-à-penser, celebrati e osannati: chi per esempio ha sempre sostenuto che la legge si riduce alla sua lettera, senza pensare che dietro il diritto o la politica o la scienza o qualsiasi altra attività umana è necessario un uomo adulto, formato secondo un principio di rispetto della realtà che viene ben prima di ogni richiamo alla legalità.
Tanti imputati, tanti potenziali testimoni, ma nessuno sguardo. Non c’è solo la perfidia di due avvocati, c’è anche l’incertezza profonda di un’umanità incerta, di persone cui è stata strappata dal cuore ogni radice di semplicità, di schiettezza. Non si vede ombra d’amore, di passione, non si sente nessun calore, da nessuna parte.
Forse per questo la storia dell’infatuazione delle due cugine per lo stesso ragazzo mi fa un po’ ridere. Ma anche se fosse vera, è solo la scintilla, la goccia che fa traboccare una misura colma da tanto tempo, ben più dei sedici anni della piccola Sarah.
Mi è capitato spesso, guardando le foto della povera Sarah, di vederci dentro qualcosa di guasto, di innaturale, specialmente quando i suoi occhi presentano quel trucco pesante, accentuando il suo pallore: come se si preparasse per qualche rituale.
Ora, quello che si è compiuto ha più l’aspetto di un atto rituale, o comunque meccanico, in cui tutti gli attori - quale che sia stato il loro ruolo e quale che sia la successione dei fatti - abbiano obbedito a una specie di ordine che però potrebbe anche non essere stato impartito da nessuno: un ordine astratto, un si è sempre fatto così, come nei regolamenti di conti tra bande. E noi sappiamo bene quale stretto rapporto ci sia tra le cose fatte per abitudine e l’esplosione della bestialità.
I romanzi esistono perché la più piccola delle azioni si spiega solo con un lungo racconto, e perché quella stessa azione può avere, per quanto piccola, conseguenze enormi. Spesso - anzi, diciamo pure nella stragrande maggioranza dei casi - le spiegazioni non sono lineari, e la dinamica di un’azione diventa sempre più oscura anche a chi l’ha compiuta. I teoremi si rivelano paglia che brucia in fretta.
Ci vuole la pazienza della narrazione, ossia di uno sguardo che finora nessuno dei protagonisti della vicenda ha saputo mostrare. Ci vuol pazienza, tenacia, fiducia nella verità. Fiducia nell’uomo, che nonostante tutte le brutture della vita è e resta fatto per la verità, per la giustizia, per il bene.
Tutto un paese sembra aver assistito, se non collaborato, alla morte di questa povera ragazza. Eppure nessuno riesce a dire una sola parola.

Questa ignoranza per Sarah è l’ultimo insulto, l’ultima coltellata. Il mio augurio è che il processo sia condotto da uomini pazienti, capaci di mettere la verità (non i sentimenti o i teoremi) al primo posto, così che almeno questa offesa possa essere riparata.

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