Quei 27 minuti che spaccano la città in due

Diamo un po’ di numeri visto che fa caldo. Ventisette i minuti d’attesa per un tram al Giambellino; 35 i gradi all’ombra che in piazza Tirana si trova davvero a fatica; un’ottantina le persone in disperata attesa e sessanta i minuti complessivi per raggiungere il centro non a mezzanotte ma alle tre del pomeriggio. Cronaca di un primo agosto lasciando a casa l’auto così come consigliano sindaco, assessori e Comune quando polveri, ozono e pm10 sono sopra i limiti. Cioè adesso. Cronaca di una periferia che avendo (per forza) tempo di osservare sembra ancora più assolata e abbandonata. Uno cerca il bar del Cerutti, il «drago» cantato da Gaber, e si ritrova senza tanti romanticismi tra macellerie islamiche, take away che parlano cinese e una fila di kebab che però hanno anche imparato a fare la pizza. Nulla da dire, per carità. È la città che cambia e che però si degrada. Un’occhiata al palazzo popolare che una volta accoglieva i dipendenti dell’acquedotto e la sintesi è fatta. Perfetta, senza bisogno di indugiare oltre sulla pensilina del tram imbrattata, sulle erbacce tra le rotaie che nascondono un paio di siringhe o su un’impalcatura arrugginita che perde i pezzi. Certo poi, dopo 27 minuti, arriva il 14 si comincia a risalire verso il centro e la situazione migliora: succede così anche a Londra, Madrid, Lisbona, Parigi perché le periferie sono quasi sempre tutte brutte. Ma un suggerimento non costa nulla. Qualche mese fa a Napoli, in piena emergenza rifiuti, il premier portò tutti i suoi ministri per il primo consiglio della legislatura tra la «monnezza» del capoluogo campano. Lo faccia anche la Moratti: porti i suoi assessori nelle periferie della città.

Chieda una sala consiliare ai consigli di zona e ci organizzi la giunta. E se poi vuol fare le cose in grande magari ci vada in tram. A volte bastano 27 minuti per capire che oltre la circonvallazione c’è un’altra città.

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