Quei circoli alla resa dei conti

Sono ormai tanti i cadaveri virtuali del caso Antonveneta-Bnl-Lodi-Unipol: Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci, Sergio Billè, Antonio Fazio. Non è ancora colpito Enrico Gnutti, che anzi è tornato al suo posto nel consiglio d'amministrazione di Monte Paschi. Resistono Giovanni Consorte e il suo amico politico Massimo D'Alema, sottoposto a un linciaggio sistematico da parte del Corriere della Sera, che rispolvera antichi rancorosi comunisti come Giovanni Berlinguer e Luciano Barca per fargli la morale. Due partite sono, comunque, chiuse: Antonveneta e Rcs. Quella Bnl non è ancora finita, anche se l'Unipol è messa male.
I vincitori dello scontro politico-giudiziario-giornalistico-finanziario che si è svolto sinora, sono coloro che si ritrovano nel circolo d'interessi economico-giornalistici che ha come punta Paolo Mieli, cui si aggiungono Luca Cordero di Montezemolo, più l'effervescente Diego Della Valle, il tessitore di trame Luigi Abete e il collaterale Francesco Rutelli.
Il problema del «circolo» mielista è l'insufficienza finanziaria dei suoi seguaci (tanto più se la Bnl non giocherà più in squadra) e le contraddizioni che albergano nel campo degli alleati. Le guerre finanziarie, però, sono come le biciclette, finché non si raggiunge il traguardo bisogna continuare a pedalare. Per capire le prossime tappe, basta leggere i media influenzati dal «circolo» (nonché gli atti dei magistrati amici): la barra è puntata su Gnutti. Gli obiettivi sono due: si spera che ingabbiando il finanziere d'assalto bresciano, saltino fuori vicende sulla scalata Telecom del '99, cioè armi per liquidare definitivamente D'Alema. Questo passo è necessario per puntare sul secondo obiettivo: sistemare gli assetti di Telecom. Eliminato Gnutti, spenta ogni possibilità di manovra dalemiana (da Unipol ai residui influssi diessini su Monte Paschi, agli amici confindustriali come la famiglia Colaninno, irriguardosa verso Montezemolo) si potrà studiare un assetto stabile per uno dei principali alleati del «circolo», Marco Tronchetti Provera. Qui nasce, però, un primo rischio: il ruolo che gioca un altro «alleato» potente ma autonomo (e forte del «collateralismo» di Romano Prodi: che non per nulla ha minacciato Tronchetti di restringere il suo controllo sulle reti, se osasse stringere rapporti troppo consistenti con Berlusconi): Giovanni Bazoli.
È il presidente d'Intesa che si sta muovendo per presentare un'alternativa a Gnutti (peraltro sua vecchia conoscenza): le mosse del raider Romain Zaleski, liquidissimo dopo le cessioni di quote Edison, che da una parte rafforzano la presa bazoliana su Intesa e dall'altra segnalano interessi per Olimpia (società di controllo di Telecom), indicano manovre su questo fronte. Movimenti non del tutto graditi dal «circolo» che se da una parte prova un certo fastidio per la vocazione mediatrice di Tronchetti verso Silvio Berlusconi e D'Alema (sostanzialmente condivisa da Cesare Geronzi e da Salvatore Ligresti), non gradisce neanche finire nelle fauci della tenaglia prodian-bazoliana (sospettata in via Solferino di avere tenuto qualche rapporto con Stefano Ricucci, paura alimentata da voci sostanzialmente infondate su Zaleski e Arnaldo Borghesi). D'altra parte se si è in guerra con un tipetto come D'Alema gli alleati potenti sono indispensabili.
La faccenda, poi, si complica perché s'intreccia a tutta la partita Mediobanca, dove Gabriele Galateri ha fatto bene, ma c'è qualche autorevole banchiere estraneo ai circoli milanesi che aspira alla presidenza. Questa richiesta ha subito sollevato le reazioni dei puledri di razza rimasti nella banca d'affari milanese, e costoro, via Piergaetano Marchetti, sono gli unici che danno un po' di nobiltà al «circolo», ricco di grandi comunicatori ma scarso di appeal nel mondo della finanza internazionale.
L'attacco di Mario Monti ad anonimi banchieri a cui non deve essere dato spazio perché pur essendo ex fan di Fazio trasformatisi in suoi nemici sono chiusi a logiche di mercato, è stato visto come una saldatura tra «old mediobanchisti» e bazoliani. Il che ha allarmato non poco Mieli.
Non sono, dunque, chiare le vie che il «circolo» tenterà per consolidare la vittoria. Giuseppe Turani raccoglie la voce che Montezemolo brigherebbe per fare il ministro degli Esteri di Prodi, per bloccare una possibilità all'odiato D'Alema, consolidare le chance di vittoria del centrosinistra, siglare un patto con i prodian-bazoliani, cercando di separare Piero Fassino da D'Alema. Può essere. Comunque la strada da qui alle elezioni è lunga. La liquidazione di Fazio apre grandi possibilità alla finanza internazionale, a partire dalle Generali. La Fiat sta molto migliorando le sue performance industriali e i suoi conti: ma ha ancora, naturalmente, problemi finanziari non secondari.

Alessandro Profumo e la sua Unicredit sono allarmati dai movimenti sulle piazze finanziarie (in particolare dalle manovre in piazzetta Cuccia) e cercano una sponda in un San Paolo Imi che non ha tanta simpatia per i montezemoliani, come ogni tanto traspare dalla Stampa del salziano Giulio Anselmi: l'ex corrierista-repubblichista fu scelto dal presidente del San Paolo-Imi Enrico Salza, prima che la famiglia Agnelli, via Ifil con la ben nota disinvolta operazione estiva, riprendesse il controllo della società torinese. Intanto lungo il fiume, come un alligatore, Carlo De Benedetti cresce di peso, aspetta il momento di riprendere una seria iniziativa e magari di farla pagare a chi a luglio fece fallire la sua apertura a Berlusconi.

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