«Ma quei nipotini di Stalin m’hanno fatto pubblicità»

L’autore de «La Grande Bugia»: «Il pubblico di Reggio Emilia ha dato loro una grande lezione di democrazia»

Luca Telese

da Roma

Dopo l’assalto sul palco subìto a Reggio Emilia durante la presentazione del suo saggio-romanzo critico sulla Resistenza, La Grande Bugia (Sperling & Kupfer, 18 euro), Giampaolo Pansa incassa per tutta la giornata i messaggi di solidarietà più disparati. Ma lui, alla sua maniera, preferisce andare controcorrente: «Ringrazio tutti, ma la solidarietà si dà alle vittime, e io ieri non mi sono sentito affatto una vittima».
Pansa, da domani cosa cambia nelle sue presentazioni?
«Assolutamente nulla, perché? Continuo a girare l’Italia come sempre».
Però ieri per venti minuti a Reggio Emilia si è sfiorata la rissa.
«Io sono rimasto impassibile, e devo essere grato a questi dodici apostoli rossi dalle teste rasate...».
Adesso lei è sarcastico...
«No, davvero. Grazie a loro ho potuto avere un grandissimo regalo dalla platea, che non si è fatta intimidire: il pubblico di Reggio Emilia ha dato una grandissima lezione di democrazia a questi giovanotti».
Teme nuovi assalti?
«Guardi, io non considero l’impresa dei dodici apostoli rasati, - e di chi ce li ha mandati da Roma - come un’aggressione. E nemmeno una mascalzonata. Mi è parso, piuttosto, un gigantesco, involontario spot per il mio libro».
Davvero non si è arrabbiato quando le urlavano «libertà-libertà»?
(Sospiro) «Li considero, questi ragazzi, dei poveri masochisti. Dei grotteschi nipotini di Stalin, dei tragici eredi degli squadroni della morte. Non ho mai ricevuto tante chiamate come ieri».
Quando la polizia le ha identificati, loro hanno protestato: «A Pansa i documenti non li chiedete...».
(Ride) «Forse perché sono già noto a tutte le questure... Scherzi a parte. Non vorrei che questi ragazzi venissero inquisiti: hanno fatto una cappellata, tutto qui».
Ma ha delle curiosità su di loro?
«Vede, per tutta l’azione, ce n’era uno che gridava: Viva Schio! - Viva Schio! Ebbene, i lettori de Il Giornale forse ricorderanno questo tragico episodio, a cui ho dedicato un capitolo del Sangue dei vinti».
Ricordiamolo per chi non lo ha letto.
«Il 6 luglio del 1945, una dozzina di partigiani delle Brigate Garibaldi entrarono nel carcere di via Baratto a Schio, dove c’erano 99 detenuti. A mezzanotte meno un quarto li tirarono fuori dalle celle, e spararono su di loro. Un eccidio: 53 morti, di cui 15 donne. Fra di loro una casalinga di 68 anni, Elisa Stella, che aveva affittato il suo alloggio a uno che si rifiutava di pagare l’affitto e che poi la denunciò come fascista. E io cosa rispondo a un ragazzo che grida Viva Schio! come se fosse un vanto?».
Che radici hanno i suoi contestatori, secondo lei?
«L’unica che io possa individuare è la necrofilia politica. Sono stati avvelenati dall’ideologia, e sono come certi maniaci che amano i cadaveri».
L’ha stupita il fatto che ripetessero le argomentazioni di molti suoi critici, di molti storici che le contestano di non mettere le note, o il suo uso delle fonti?
«Ma questi hanno fatto un cattivo servizio persino ai miei critici di sinistra! Non mi metto a discutere di filologia con loro. Chiunque legga il mio libro trova dovizia di fonti, di cui la maggior parte - ironia della sorte! - sono di parte antifascista».
Lei critica molti partiti di sinistra che ricorrono all’ortodossia antifascista come a un bene-rifugio.
«Sì, spesso sono in crisi elettorale, hanno paura anche di perdere solo un voto. Ed è un peccato, perché vorrei tanto che anche gli storici che mi criticano si mettessero al lavoro sulle tante Porzus dimenticate».
Lei cita sempre il film di Renzo Martinelli.
«Soprattutto per una frase di un comandante partigiano che mi viene in mente in occasioni come queste: “Per me tutti quelli che non sono comunisti sono fascisti”».
Nella presentazione lei ha detto che vorrebbe più coraggio da parte dei Ds.
«È vero. Molti di loro fanno grande revisionismo politico, ma poi faticano a fare i conti con la loro identità. In privato magari ti dicono “Siamo d’accordo con te!” ma in pubblico, poi, hanno paura di essere bacchettati».


È pessimista sulle condizioni del dibattito storico in Italia?
«No, affatto. E quando mi dicono che il Quirinale fa un comunicato ufficiale su questa vicenda... Beh, vorrei dire tante cose, ma ne dico una sola. Un grazie di cuore a Giorgio Napolitano».

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