Quel contratto da 1,6 miliardi che ha messo a rischio i bilanci

(...) A cambiare, innanzitutto, è che dal 2008 agli enti locali è vietato di negoziare il proprio debito in strumenti derivati. Ma succede che il procuratore aggiunto Alfredo Robledo mette in piedi un’indagine - e un processo - fino ad allora ignoto alle aule dei tribunali.
Nel novembre del 2009, la Procura chiude l’inchiesta. Robledo chiede il rinvio a giudizio dei quattro istituti finanziari, di 13 manager (tra i quali c’è anche Gaetano Bassolino, figlio dell’ex goverantore della Campania), e di due dirigenti del Comune (Giorgio Porta, ex direttore generale, e Mauro Mauri, (esperto incaricato della ristrutturazione del debito comunale).
Dopo i fasti delle cronache, il processo si inabissa in una battaglia di perizie e contro-perizie difficili da masticare anche per un esperto della materia. Ma a spiegare quanto sia delicata la situazione, arriva anche l’allarme della Corte dei conti. Quel bullet-bond, spiegano i giudici nell’aprile del 2008, mette a rischio «la gestione delle future risorse dell’Ente». L’amministrazione, sostengono, «non ha alcuna tutela in caso di insolvenza» da parte degli istituti.
E poi ci sono loro, gli ex sindaci. Gabriele Albertini (che promosse quel contratto) e Letizia Moratti (che lo ristrutturò senza benefici apparenti per le casse pubbliche). In aula come testimoni, nel novembre scorso, si sono evitati con cura. «Sono spariti documenti che provano la convenienza dell’operazione», dice Albertini. «Siamo stati truffati», è il grido di dolore della Moratti. Ora, la mossa che spariglia.

Le banche, che a processo ribadiscono la propria correttezza, tendono una mano. Troppo grosso il rischio di non poter più lavorare con gli enti pubblici. Il maxi-assegno da 450 milioni - quello sì - sembra un buon affare per tutti.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica