Quel modello francese che piace ai due Poli

Questo bel governo e la sua degna maggioranza parlamentare ne stanno combinando tali e tante da far concludere a Silvio Berlusconi che ormai l’Italia è in pezzi. Non a caso il leader dell’opposizione ha riecheggiato una storica frase pronunciata da Vittorio Emanuele III il 25 luglio del 1943 a villa Ada nell’ultimo colloquio avuto con Benito Mussolini, quando il vecchio re ammonì che l’Italia era in tocchi. Certo, le differenze tra ieri e oggi saltano agli occhi. Allora erano le macerie materiali a far paura. Adesso ci preoccupano macerie politiche che rischiano di fare tabula rasa. A cominciare, si capisce, dalle nostre istituzioni repubblicane.
Se volgiamo lo sguardo all’indietro e riguardiamo a un secolo e mezzo di storia patria, non possiamo nutrire dubbi di sorta. Da un punto di vista strettamente costituzionale, la Francia ci ha fatto sempre da guida. Nel 1848 la rivoluzione batteva alle porte e, se non la si fosse cavalcata a dovere, avrebbe spazzato via tutto e tutti. Così Carlo Alberto ritenne opportuno annunciare con un proclama ai sudditi l’8 febbraio le basi di uno Statuto fondamentale del Regno che scimmiottava la Carta costituzionale francese del 14 agosto 1830. Una riforma per imbrigliare una rivoluzione. Appena qualche mese dopo la Francia si affida con la Costituzione del 4 novembre 1848 a una seconda Repubblica che con il suo semipresidenzialismo anticipa quella gollista. A far rimpiangere la Repubblica sotto la monarchia è Luigi Napoleone, che non potendo essere immediatamente rieleggibile in forza di una disposizione costituzionale, fa il colpo di Stato, diviene di lì a poco imperatore dei francesi e, sconfitto in guerra, spalanca le porte a una terza Repubblica più assembleare che propriamente parlamentare. Negli anni del secondo Dopoguerra la quarta Repubblica francese e la nostra Prima Repubblica si assomigliano come due gocce d’acqua. Nel 1958, però, la Francia volta pagina. Grazie a de Gaulle imbocca la via della quinta Repubblica, mentre l’Italia continua a percorrere una strada che agli inizi degli anni Novanta risulterà impraticabile. Sulle macerie ci si illude di dar vita a una seconda Repubblica caratterizzata da una democrazia maggioritaria grazie al referendum elettorale manipolativo del 1993. Ma se oggi ci guardiamo attorno, come sta facendo in questi giorni Berlusconi, dobbiamo arrivare alla conclusione che questa transizione senza fine - aggravata dalla bocciatura popolare della riforma costituzionale promossa dalla Cdl e ora rimpianta dai migliori cervelli dell’Unione - ci sta scavando la fossa.


Dopo il trionfo di Nicolas Sarkozy, che si è assicurato un’ampia maggioranza parlamentare, c’è chi è indotto ad annullare le distanze che separano i due Stati. Al centrodestra non è mai dispiaciuto il semipresidenzialismo, mentre il centrosinistra potrebbe avere interesse a coniugarlo con il doppio turno. Insomma, se son rose fioriranno.
paoloarmaroli@tin.it

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