Quell’ottobre napoletano foriero di libertà

Ruggero Guarini

Gentile Giorgio Napolitano, fra pochi giorni, il 29 giugno, lei dovrà festeggiare il suo 81° compleanno. La sua nascita è però soltanto uno dei due grandi avvenimenti della sua vita che si deve preparare a celebrare. L’altro è quello che suppongo che sia stato il giorno più sconvolgente della sua giovinezza.
Mi riferisco al giorno dell’arrivo degli americani a Napoli. Accadde – ricorda? – il 1° ottobre del ’43. Lei aveva diciotto anni. I suoi interessi e le sue ambizioni – che allora erano letterarie, e in particolare teatrali – si erano espressi sulle rivistine del Guf napoletano, che era anch’esso, come tutti gli altri Guf, un semenzaio di giovani telenti politici e culturali. Quell’esperienza avrebbe fra l’altro potuto predisporla a giudicare i fatti di quel giorno con l’animo offeso di un bravo ragazzo guastato dal falso patriottismo dei suoi maestri di allora. Invece, essendo un giovanetto sveglio e perspicace, capì subito che con quei soldatini forestieri stava arrivando la libertà.
Subito dopo, però, lei entrò nel Partito comunista. Che presto diventò la sua nuova casa. Dove trovò dei maestri che fin dai primi giorni le spiegarono che la libertà che ci avevano portato quelle armate anglofone non era affatto la vera libertà. La vera libertà – le fu insegnato – avrebbe potuto portarcela soltanto l’Armata rossa, se a liberarci fosse stata lei. Ma purtroppo a liberarci erano state le truppe del capitalismo imperialista, e perciò la libertà che ci era stata portata era in effetti la forma più abominevole di schiavitù. Il ricordo di quel primo ottobre perse così ben presto, nella sua memoria, il profumo che hanno sempre le più liete rimembranze della nostra giovinezza e acquistò il vago sapore di un rimorso.
In quella casa lei, com’è noto, restò fin quando, dopo la bancarotta della sua patria di riferimento, non si disfece anche lei. Per risorgere però immediatamente dalle sue rovine nella forma di quel prolisso, eterno Work in Progress che ormai da circa vent’anni è il partito degli orfanelli del Bottegone. Il più illustre dei quali si dà il caso che oggi sia proprio lei. Dev’essere per questo che i capricciosi numi della nostra storia nazionale hanno imposto proprio a lei di diventare il primo presidente postcomunista del nostro paese. Ma adesso lei ha il dovere di ricompensarli. Cosa che potrebbe fare affrettandosi a restituire tutto il suo profumo originario al suo personale ricordo di quello strepitoso primo ottobre napoletano.
Ridargli quel profumo sarebbe del resto facilissimo. Basterebbe decidersi a sfatare la leggenda, divulgata dal suo vecchio partito, secondo la quale la nostra Repubblica sarebbe nata dalla Resistenza.

La esortiamo dunque a prepararsi a onorare quel 1° ottobre ricordando agli italiani che di quello straccio di democrazia di cui dispongono ancora oggi essi sono debitori soprattutto ai soldatini americani che lei vide quel giorno entrare nella sua città, e che avrebbero presto liberato (col generoso concorso, certamente utile ma non proprio indispensabile, dei nostri partigiani) tutto il nostro paese.
Su questo argomento lei potrebbe pronunciare un discorso veramente memorabile. Che sarebbe forse ricordato come l’atto più coraggioso della sua vita.
guarini.r@virgilio.it

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