Quella nota informativa che salvò Di Pietro dalla bocciatura sicura

Tutto merito di quella vocazione da seminarista. Il fervore cristiano, che aveva portato Tonino per un breve tempo a frequentare un seminario, fece poi il miracolo: promosso magistrato, nonostante un esame pessimo, che aveva convinto la commissione a bocciarlo. Poi ci fu l’intervento salvifico, e l’esito cambiò. Ma che successe davvero? Il Giornale ha sentito ieri un testimone autorevole sul travagliato esame dell’aspirante toga Antonio Di Pietro, nel 1981: l’allora segretario della commissione esaminatrice, l’ex procuratore di Roma Felice Filocamo. Che ha ricordato: «Alla fine, sommando le opinioni, ha prevalso l’opinione generale contraria alla promozione di Di Pietro. Poi, con l’intervento di qualcuno che ha ritenuto che quella decisione non fosse... come dire... beh, ha capito, la commissione cambiò idea. Ci furono delle discussioni, la decisione venne rivista. Se chiedete al giudice Carnevale...» (l’allora presidente della commissione).
Filocamo, dopo l’intervista, ha inviato un’ulteriore precisazione dove conferma «gli aiuti ottenuti dal candidato Di Pietro a passare l’esame», ma chiarisce che «l’aiuto lo ebbe agli esami orali e non agli scritti», dove - come racconta Filocamo - «c’è una busta grande con dei compiti e una piccola con il nome del candidato. Si correggono i compiti e si dà il voto per iscritto in calce al tema e sul verbale accanto. Dopodiché, quando sono finite le correzioni degli scritti, si aprono le buste piccole, che hanno come numero quello della busta grande, e quindi si abbinano. E il compito da anonimo diventa noto». Ma solo a quel punto. «Quindi io non potevo aver strappato il compito di Di Pietro perché non sapevo quale fosse il suo», spiega Filocamo. Mentre «l’aiuto fu dato a Di Pietro all’esame orale». Secondo l’ex parlamentare Elio Belcastro, che riportava una confidenza di Filocamo, per salvare Di Pietro vennero strappati dei documenti, o il compito o il verbale della commissione. Ma né Filocamo, oggi, né Corrado Carnevale confermano.
Ma quale fu il ruolo di Carnevale, il presidente di quella commissione chiamato in causa da Filocamo? Carnevale ha confessato (all’agenzia Il Velino il 18 gennaio 2010) di aver spinto la promozione del non brillante esaminando, con due aiutini, «due stampelle» dice Carnevale. «Si presentò agli orali con una sufficienza e due quasi sufficienze su tre prove scritte. Agli orali non andò meglio. Ma prevalse l’orientamento di assegnargli due aiutini. Fui molto toccato dalla nota informativa, non so se della polizia o dei carabinieri, che illustrava il suo curriculum, come avveniva per tutti i candidati. Ricordo che nell’informativa si diceva che era stato un seminarista, era cattolico, era emigrato in Germania dove aveva lavorato presso una fabbrica di posate». La storia dell’emigrante costretto a faticare per studiare intenerì Carnevale, tanto da farlo recedere dall’idea iniziale di bocciarlo. Carnevale racconta che non ci fu alcun aiuto allo scritto, e ciò «anche perché gli elaborati scritti sono anonimi al momento in cui vengono corretti dalla commissione, per cui sarebbe stato impossibile identificare il dr. Di Pietro quale autore del compito», scrive il magistrato. «Nessun fatto costituente reato è stato commesso con riferimento alla vicenda del concorso in magistratura di Di Pietro».
Galeotta fu, insomma, quella «informativa» dei carabinieri o della polizia (corpo in cui aveva prestato servizio il giovane Di Pietro). Un profilo molto benevolo che indusse il presidente quasi a commuoversi. «Mi fece tenerezza la sua provenienza - racconta il cattolico Carnevale, al sito di apologetica cristiana Pontifex - ed il curriculum in cui si segnalava che aveva fatto persino il seminarista a diciassette anni». E così partì l’aiuto. Anche se a distanza di anni Carnevale la pensa diversamente.

«Se fossero vere le cose che raccontano di lui, cioè interrogatori troppo esuberanti e quasi intimidatori, Di Pietro non sarebbe stato un buon giudice. Del resto ho sempre detto che mi pento di averlo aiutato a superare il concorso in magistratura».

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