Ma di questa rivoluzione che cosa ci è rimasto?

S'intitola «Il mio '68» la rassegna allo Spazio Oberdan della Cineteca italiana e della Provincia di Milano che comincia oggi. Daniela Benelli, assessore provinciale alla Cultura, nel catalogo della rassegna, nata da un referendum fra cinefili, giustifica così la sua scelta personale: «Ho privilegiato l'aspetto politico, optando per La battaglia di Algeri» (in programma oggi, ore 21). Quello di Gillo Pontecorvo, commissionato dagli algerini per celebrare il loro Risorgimento, è davvero un capolavoro. E davvero - come scrive la Benelli - rappresenta «la parte più nobile, generosa e lungimirante della coscienza politica di quegli anni: il nuovo spirito di rivolta contro lo spietato imperialismo coloniale e contro il razzismo». Ma lo spirito incarnato da Frantz Fanon e Ben Barka in Africa, da Ernesto Guevara in America Latina, morì con loro. Prima del 1968. Nulla di più lontano dal loro stile militante, fatto di doveri e non di diritti, con slogan come «La fantasia al potere» e «Proibito proibire». Se Guevara fosse sopravvissuto; se il suo seguace Régis Debray non fosse stato in una galera boliviana, il «maggio parigino» sarebbe stato forse insurrezione. Invece quello di Cohn-Bendit, Kouchner (attuale ministro degli Esteri francese), Glucksmann, Krivine... fu un carnevale, ben rappresentato da un altro film della rassegna, il modestissimo e recentissimo (2007) Across the Universe di Julie Taymor (in programma domani, ore 21) che, nella sua goffa nostalgia, rende lo spirito invertebrato del '68 vero: canzoni e droghe, sesso libero e responsabilità zero.
Ma un periodo lungo come quello sessantottardo, che non è ancora finito neppure in Italia, ha ovviamente dato qualcosa che resta. E che non necessariamente è stato inserito nel «Mio '68». Spiace infatti che, fra le proposte avanzate dalla Cineteca per la programmazione di «base», non sia passata (o non sia stata reperibile la copia) dell'Impossibilità di essere normale di Richard Rush (1971): Candice Bergen era bellezza allo stato puro. Altre vittima dell'ignoranza o dell'indisponibilità sono stati La guerra dei bottoni di Yves Robert (1961) e In nome del popolo italiano di Dino Risi (1971), condanna dei magistrati giustizieri.
Se volete un serrato film politico, senza alcun legame col '68, peraltro, c'è Z, l'orgia del potere di Constantin Costa-Gavras (1969), sull'assassinio del deputato comunista Lambrakis nel 1963 (giovedì 25, ore 21). Se volete un altro film politico che nulla ha a che vedere col '68, c'è anche il meno felice, ma comunque interessante, Bloody Sunday di Paul Greengrass, Orso d'oro al Festival di Berlino, sulla strage compiuta dall'esercito inglese e dalla polizia nell'Ulster del 1972.
Dopo tanta negazione del '68 nell'ambito della stessa rassegna che gli è dedicata, che cosa ne resta? Il suo velleitarismo in Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci (domenica, ore 21), rilettura risalente al 1964 della Certosa di Parma di Stendhal, adattata agli umori della borghesia di sinistra italiana; la sua tossicodipendenza e la sua inconcludenza in Easy Rider di Dennis Hopper (domenica 21, ore 19); idem, in versione più cerebrale, in Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni (sabato 27, ore 21).

In caso non vi bastasse vedere i film, ma voleste anche parlare di '68, dopodomani (ore 18), sempre allo Spazio Oberdan, ci sarà il prevedibile dibattito, intitolato «Il '68 fra costume e società», a cura e con la partecipazione di Elio Fiorucci. Info: ilmio68@cinetecamilano.it, 02-77406300.

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