nostro inviato a Quetta
Una frenata brusca tra tante nel buio segna l'arrivo a Quetta. L'autobus si ferma poco dopo le cinque in una strada fangosa, dove anche camminare è difficile. L'autorisciò, una vecchia Ape Piaggio, parte incerta nell'ultimo scampolo di notte, inseguita a ogni incrocio dai cani randagi che abbaiano alla luna anche se non c'è, coperta da nuvole grigie. L'hotel è ancora chiuso, bisogna bussare per lasciare la strada bagnata, e il cortile erboso sembra quasi un lusso dopo il primo impatto con la città. Poche ore dopo la luce illumina il capoluogo del Beluchistan pakistano, e sembra il giorno dopo un diluvio: ha piovuto per tutta la notte, così ora Quetta è semiallagata. Nei canali a cielo aperto scorre acqua putrida e maleodorante, ma i venditori di cibo e bevande - soprattutto succo di canna da zucchero - per strada non sembrano farci caso, e qualcuno in quella melma ci risciacqua persino bicchieri e stoviglie. Questa città darebbe rifugio a molti militanti di Al Qaeda, che vengono a svernare dall'Afghanistan, e che a Quetta non hanno problemi a nascondersi e a trovare appoggi logistici. Pochi mesi fa qui è stato rapito un funzionario delle Nazioni Unite, rilasciato solo da pochi giorni, mentre camminava per strada con un agente di scorta, rimasto ucciso. E oggi i giornali hanno in prima pagina la foto di tre poliziotti, ammazzati ieri sera in centro da una raffica di Ak-47 partita da un'auto in corsa. Le serrande dei negozi sono abbassate. «Sciopero», spiega Malik, il baffuto addetto dell'ufficio informazioni turistiche. Sciopero per cosa? «Ieri a Karachi c'è stato un regolamento di conti tra clan rivali, con decine di morti. La città manifesta per chiedere un Paese più sicuro». Per i tre agenti ammazzati, invece, nessuno sembra protestare. La gente, per strada, a dire il vero è sorridente e cordiale. Chiede di essere fotografata, si mostra incredula che dei turisti possano essere arrivati fin qui, e le offerte di chay e di cibo si moltiplicano. Il numero di poliziotti per strada è impressionante. Ci sono postazioni con sacchetti di sabbia e mitragliatrici a nastro quasi a ogni angolo, e il consiglio agli «stranieri» è sempre lo stesso: meglio rientrare in hotel prima che sia buio. Anche nella redazione del Daily Mirror, quotidiano locale che stampa due edizioni, in hurdu e in inglese, i giornalisti invitano alla prudenza. Karim, il segretario di redazione, fa gli onori di casa e mostra orgoglioso la newsroom e la sala riunioni, indica la prima pagina del quotidiano del giorno, con i poliziotti morti sparati in prima, poi spiega senza mezzi termini: «Qui per turismo non ci viene nessuno, a parte chi come voi passa e prosegue oltre. Non c'è niente da vedere oltre ai talebani, è un posto pericoloso». Fuori dalla sede del quotidiano, in effetti, ci sono tre soldati a presidiare l'ingresso, e il meno armato imbraccia un kalashnikov. Appena dietro il corso principale c'è il bazar afghano, c'è gente armata, in abiti civili, anche sulla porta di ristoranti e hotel di dubbia fama. Ma gli sguardi che si incrociano, sorprendentemente, si aprono quasi immancabilmente in un sorriso, persino quando gli occhi si intuiscono appena sotto un cupissimo burqa. Anche se poi la strada per il Serena hotel, il migliore albergo cittadino, di proprietà di una catena dell'Aga Khan, è sbarrata da cavalli di frisia e filo spinato, ed è presidiato da militari armati. «Not a safe zone for foreigners», taglia corto dietro un sorriso un ufficiale, mostrando i palmi e invitando al dietro-front. Ma fa così paura Quetta? Forse è solo un falso senso di sicurezza quello che si percepisce passeggiando da turisti per le sue strade sporche, o forse è davvero frutto della tradizione di ospitalità del popolo pashtun, per cui è difficile tornare in stanza senza avere in tasca una decina di pezzi di carta con e-mail e indirizzi di sconosciuti. Certo, le statistiche dei morti ammazzati, che aumentano quotidianamente, le notizie dei sequestri e quelle degli arresti di capi talebani e affiliati ad Al Qaeda non rassicurano. Ma nemmeno fermano quanti ancora calcano l'hippie trail, sulla cui rotta, ora che l'Afghanistan è off-limits, Quetta è una tappa irrinunciabile.
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