Quindici pistola diventano pistole

Filippo Facci sul Giornale di ieri ha spiegato perché i 15 presunti brigatisti arrestati lunedì più che una banda armata gli sembrano una banda di pistola. Secondo lui, il gruppuscolo sarebbe composto da Fantozzi del terrorismo, che preparano un attentato alla villa di Berlusconi ma vengono fermati da una telecamera; progettano di bruciare la redazione di Libero ma sbagliano uffici. Il nostro vicedirettore Michele Brambilla, autore di L’eskimo in redazione – un libro che racconta come i giornalisti degli anni Settanta abbiano chiuso gli occhi di fronte al terrorismo rosso – gli ha già risposto efficacemente, invitandolo a non sottovalutare neppure i baluba. Ma è proprio qui il punto: siamo sicuri che i 15 nostalgici della rivoluzione in rosso siano dei baluba? Io non lo sono affatto. E spiego subito perché.
Le Br non erano solo quelle di Mario Moretti e Valerio Morucci, i capi dell’ala militarista, ma anche quelle dell’ala movimentista, guidata da Giovanni Senzani. Gli appartenenti a questo secondo troncone s’occupavano di reclutare aspiranti terroristi più che di progettare agguati. Facevano proseliti nelle fabbriche e nelle scuole, creavano insomma il brodo di coltura del terrorismo. Ed erano egualmente pericolosi.
Ma le fabbriche non ci sono più e l’area giovanile in cui sguazzavano i brigatisti nemmeno, dice Facci. Guardando quel che è accaduto dopo l’arresto dei 15 rivoluzionari in camicia rossa non ne sarei così convinto. Non parlo delle scritte sui muri, dei manifesti di solidarietà affissi a Milano, dei comunicati che circolano via Internet. A ciò può provvedere qualche esaltato. Ma per versare una tanica di benzina sulla porta di casa del capo della Digos di Padova serve una certa dose di sangue freddo, superiore a quella necessaria per premere il dito sulla valvola di una bomboletta spray. E serve anche una propensione criminale.
Aggiungo un’altra considerazione. Quando le Br nacquero non erano molto diverse dai 15 pistola messi dentro lunedì. Alberto Franceschini, Prospero Gallinari e Tonino Paroli erano tre sbarbati della Fgci, l’organizzazione giovanile del Pci, che contestavano la guerra in Vietnam. Nel ’69 organizzarono una manifestazione contro la base Nato di Rimini, ma pochi mesi dopo, invece di abbracciare la causa pacifista, imbracciarono un vecchio fucile e cominciarono a sparare.
Quanto a dar dei Fantozzi a criminali che progettano d’accoppare gli avversari politici, ci andrei piano. Mi torna in mente la storia di Maurizio Pedrazzini, un militante di Lotta continua che era stato incaricato di far secco Franco Servello. Attese il politico missino sul pianerottolo di casa: l’intenzione era di piombargli alle spalle e sparargli appena fosse entrato nella cabina dell’ascensore. Ma Pedrazzini fu tradito dal nervosismo. Mentre aspettava, fece partire inavvertitamente un colpo. Non ebbe neppure il tempo di scappare: lo beccarono in ascensore. Una fine ingloriosa e ridicola.

Ma di lì a poche settimane tutt’altra fine toccò al commissario Luigi Calabresi.
Ripensando a ciò che è venuto dopo e alla scia di sangue che ci ha inseguito fino al 2000, quei ragazzotti imbranati non fanno affatto ridere. Mettono solo paura.

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