Tutti bravi, meno la Lega che è scettica a festeggiare come si deve i 150 anni dell’Unità d’Italia. Lo ha detto ieri Napolitano aprendo ufficialmente l’anno delle celebrazioni. Più che unire, l’inquilino del Colle evidentemente mira a spaccare, gli italiani (oltre 3 milioni i votanti del Carroccio alle ultime politiche) e il governo. Chi governa, ha infatti aggiunto il presidente, ha il dovere di rispettare il Tricolore. Nessun accenno, critica o richiamo a chi invece i simboli dell’Unità d'Italia li ha disprezzati per cinquant’anni. Cioè lui stesso e i suoi amici comunisti. Napolitano rimuove la verità che nelle piazze del Pci invase da bandiere rosse il tricolore fosse bandito, che Bella Ciao venisse cantata al posto dell’inno di Mameli, la parola Patria considerata un residuo fascista. E già che ci siamo val la pena di ricordare come il suo partito passasse informazioni al nemico, l’Unione Sovietica, per aiutarla a meglio preparare il piano militare della nostra invasione.
Non credo proprio che questo governo meriti rimbrotti sul tema dell’Unità. Da sedici anni la maggioranza ruota attorno a un partito che si chiama Forza Italia e che ha la come simbolo il tricolore. Se Bossi ha un merito è proprio quello di aver tenuto ancorato a «Roma ladrona», attraverso Berlusconi, il giustificato malessere del Nord incompreso e quindi non intercettato dai soloni democratici e repubblicani. Bossi lo ha fatto a suo modo, discutibile, paradossale ma efficace. Nei primi anni ha inneggiato alla secessione ben sapendo che l’obiettivo era il federalismo, prima osteggiato e poi sposato da tutto l’arco costituzionale. Ha aperto la campagna su sicurezza e immigrazione clandestina prendendosi del razzista, ma a differenza dei benpensanti da salotto che sfruttano e disprezzano le loro colf, nel profondo Nord badanti e dipendenti stranieri sono stati assunti e messi in regola. Nelle feste padane non sventola il Tricolore, ma a fare le salamelle ci sono gli alpini, simbolo dell’Italia unita e solidale. Nel Carroccio si celebra il dio Po ma guai a toccare un presepe, un crocifisso.
Ci voleva il fiuto di quell’altro animale della politica italiana, Silvio Berlusconi, per intuire che Bossi e la Lega non solo non erano una minaccia per l’Unità d'Italia, ma addirittura una risorsa. Certo, per gestire Bossi bisogna avere pazienza, coraggio e saper ingoiare qualche rospo. A differenza di Fini, che per invidia e incapacità è riuscito nel capolavoro di barattare «Dio, Patria e famiglia» con «Rutelli, magistrati e Montecarlo ». Uno scambio che non paga, checché ne dica Napolitano. A cambiare bandiera è anche Vittorio Feltri.
Il giornalista, fino a ieri tra i più autorevoli sostenitori del premier, in un incontro pubblico a Cortina, ha detto che Silvio Berlusconi non ha i numeri per candidarsi a capo dello Stato e che sarebbe addirittura meglio che non si ricandidasse neppure a premier. Fini, Bocchino e Di Pietro possono contare su un nuovo alleato?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.