Rabbia sociale? "Io in piazza coi black bloc perché cornuto"

Uno dei contestatori scesi in piazza coi black bloc ha mandato una lettera sull’Espresso: "Lasciato da mia moglie, ho tirato un sampietrino"

Roma - Più che la politica poterono le corna. E il conseguente divorzio. Un divorzio di quelli devastanti, con la moglie fedifraga che se ne va con tutto il «cucuzzaro» (casa, figli, assegno di mantenimento) e il marito che resta là a ruminare rabbia e stenti, un camper come indirizzo. Alessandro C. in una lettera sperabilmente autentica pubblicata sull’Espresso racconta delle motivazioni - molto private e poco politiche - che lo hanno spinto sabato 15 a San Giovanni a Roma a lanciare sampietrini. Anzi, un sampietrino. «Senza colpire», specifica il tapino. Perché quando uno è sfigato, nel torneo degli sfigati non arriva primo, ma secondo.
La storia che Alessandro racconta ai lettori del settimanale offre uno spaccato sconcertante del sabato della vergogna. Leggendola non si sa che sentimento provare: solidarietà? Pietà? Rabbia? Perfino Stefania Rossini, incaricata di rispondergli, non sa che pesci prendere. «Non ho commenti né tanto meno consigli. Se non uno, minimo: provi a rivolgersi a una delle tante associazioni di padri separati. È lì che forse troverà i suoi simili, non nella furia senza nome dei black bloc», scrive la giornalista intingendo la penna nel buon senso da zia.
«Ho 32 anni, sono laureato e disoccupato, e in più sono separato e cacciato con tanto di sentenza dalla cosiddetta casa coniugale», si presenta Alessandro. Prima, bei tempi. «Per anni - scrive - è andato come nelle più banali pubblicità familistiche: un matrimonio d’amore, due figli meravigliosi, un lavoro come esperto informatico a tempo determinato, ma sempre rinnovato, il mutuo per la casa, le vacanze tutti insieme in un camper». Poi, lei si innamora di un altro e chiede il divorzio. «Certo, io sbraito, faccio scenate, imploro, piango, una volta arrivo anche a darle uno spintone». La moglie riesce così a far passare Alessandro come un violento e vince su tutto il fronte. Ma le disgrazie di Alessandro non finiscono qui: licenziato in tronco, vive nel camper, campa riparando computer e vede i figli solo all’aperto. Fin quando li vedrà, visto che è in arretrato sul mantenimento. «Mi chiedo quanto io possa essere direttamente responsabile del crollo della mia vita, ma non trovo quasi niente». Come usava negli anni Settanta, Alessandro preferisce dare la colpa alla società «che ci sta togliendo spudoratamente sicurezza, lavoro, diritti e pace interiore».


Tra Dickens e Fantozzi, arriva il giorno del riscatto: la manifestazione degli indignados a Roma, che Alessandro vive in prima linea, schierato con i black bloc: «Era nell’aria che con loro sarebbe accaduto qualcosa». Quando accade, Alessandro prende il suo cubo di porfido e manca inesorabilmente il colpo. Lui. Gli altri, quelli di buona famiglia con l’hobby della violenza di piazza, la mira ce l’hanno sicuramente migliore.

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