Radicali, Pannella inventa il nuovo segretario

Luca Telese

da Roma

Lei è scaramantica, alla vigilia: «Nulla, è scontato nei congressi radicali». Lui serafico, anche dopo la detronizzazione: «Lavoriamo perché ci sia un congresso vivace, ma unitario». Rita Bernardini e Daniele Capezzone, alla vigilia del congresso radicale di Padova (inizia oggi, relazione introduttiva del primo e intervento di presentazione della seconda) declinano perfettamente galateo e bon ton. Dopo la scomposta detronizzazione di Capezzone, imposta ancora una volta alla sua maniera da Marco Pannella, l’assise del partito sarà decisiva sia per il futuro, sia quello della «cosa» laica nata nelle scorse elezioni dopo l’alleanza con lo Sdi e la Rosa nel pugno. Capezzone lo ha ripetuto mille volte: lui alla «successione» non era contrario, ma non condivide il metodo, la polemica «tafazzista» che ha portato il guru di sempre a defenestrarlo in modo clamoroso. Lei, la Bernardini ha «accettato» la designazione, con understatement: «Lo dico a tutti, può accadere qualsiasi cosa: il nostro regolamento congressuale permette ai candidati di scendere in campo anche un attimo prima del voto».
Già, i candidati: a parte la Bernardini, sponsorizzata dallo stesso Pannella, nume tutelare della maggioranza che ha governato il partito negli ultimi decenni, potrebbe esserci, come sempre, qualche outsider. L’anno scorso, per esempio scese in campo Silvio Viale. E due anni fa, il grande antagonista fu il leader dell’ala «destra», Benedetto Della Vedova (poi uscito per fondare un nuovo movimento radicale, schierato con il centrodestra). E anche se non ci saranno sorprese, è vero che i radicali vivono da sempre sul filo di due grandi vocazioni, quella del partito-associazione-famiglia, in cui tutti sono cooptati, rodati, sostituiti dal grande demiurgo, e quella dell’ultimo partito post-sessantottino, agone di maratone assembleari, e votazioni all’ultima scheda. Il tutto ormai contaminato con voti diretti, internautici... Capezzone assicura: non intende ricandidarsi (anche se lo chiedessero i compagni). La Bernardini ricorda che lei stessa fu eletta tesoriera «a sorpresa».
Ma è anche vero che - leadership a parte - esistono divergenze di linea o di strategia. Capezzone, e quelli che si riconoscono nella sua segreteria, è stato il primo dei «segretari giovani» a non subire un legame ombelicale con Pannella, il primo a costruirsi un profilo autonomo senza andar via. Già prima di essere eletto aveva passato dei periodi di isolamento e di «disgrazia» (durante «l’era Cappato», alla fine degli anni novanta), e ancora oggi, malgrado la detronizzazione resterà una figura visibile: è l’unico radicale oltre alla Bonino che abbia un’immagine esterna fortissima, persino opinionista a Markette, alla corte di Chiambretti. Ed è l’uomo delle mille iniziative, dei «tavoli di volenterosi», delle cordate trasversali, delle proposte choc, delle smarcature a destra e a sinistra. La Bernardini è il suo opposto: la più giovane delle «militanti antiche», una di quelle che a via di Torre Argentina ci ha passato tre vite, che ha fatto tutto, dai fili diretti a Radio radicale, ai nudi fotografici, ai mascheramenti, ai tavolini, alle campagne di finanziamento.

«Vorrei un partito meno seduto, più reattivo all’inerzia del governo», dice Capezzone, «Vorrei che questo partito si preoccupasse di più dell’autofinanziamento», dice lei. La pupa e il secchione, insomma. Dove «il secchione», s’intende, è la Bernardini.

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