Referendum elettorale, l’incubo dei «terzisti»

Paolo Armaroli

Nel 1994 abbiamo relegato in soffitta un triciclo che da noi ha occupato la scena per circa un secolo e mezzo e abbiamo inforcato una fiammante bicicletta. L’immagine non è nostra ma di Giovanni Sartori. Il triciclo aveva una grossa ruota di centro in permanenza al governo e due ruote più piccole, una di destra e l’altra di sinistra, all’opposizione in servizio permanente effettivo. E il risultato è stato una democrazia bloccata, senza alternative. La bicicletta del bipolarismo non è del resto spuntata per caso. È l’effetto di tre fattori che chiameremo R, O e B.
R come riforma elettorale. Se ci fossimo tenuti ancora sul gobbo la vecchia e screditata rappresentanza proporzionale, con ogni probabilità tutto sarebbe rimasto come prima, o giù di lì. Invece il referendum sulla legge elettorale per il Senato del 1993 ha avuto una reazione a catena. E così abbiamo avuto il Mattarellum, dal nome del deputato ex popolare e ora della Margherita che ne è stato l’artefice. Un sistema per tre quarti maggioritario, con collegi uninominali a un turno, e per il restante quarto proporzionale. Ma il fattore R forse da solo non sarebbe bastato a darci la bicicletta se non avessero dato il loro fattivo contributo gli altri due fattori. Il fattore O, O come Achille Occhetto, il segretario dei postcomunisti che aveva allestito una gioiosa macchina da guerra, era convinto di fare cappotto e sperava di restare al potere almeno per un ventennio. E il fattore B, B come Silvio Berlusconi, l’imprenditore di successo che è sceso in campo accordandosi al Nord con la Lega e nel Centrosud con la Destra, e le ha suonate di santa ragione al cartello di centrosinistra. Alle due squadre in campo ormai ci siamo abituati e non sapremmo farne a meno. A meno che...
A meno che le regole del gioco non siano più quelle di una volta. Intendiamoci, il sistema elettorale è già stato modificato prima delle recenti politiche. Ma il sistema in vigore è proporzionale in entrata e maggioritario in uscita perché viene conferito un premio di maggioranza alla coalizione vincente. Grazie ad esso la bicicletta del bipolarismo non è caduta nella polvere ma ha retto bravamente. Solo un ritorno puro e semplice alla proporzionale ci farebbe rivedere il mondo di ieri. Cioè quel triciclo del quale nel 1994 ci eravamo disfatti con un sospiro di sollievo. C’è tuttavia da domandarsi se davvero oggi esistano le condizioni politiche per un ritorno al passato.
Certo, a dritta e a manca si fa un gran parlare della proporzionale personalizzata di stampo tedesco, corretta dalla clausola di esclusione del cinque per cento. Ma si tratta di un fuoco fatuo. Perché se la cosa avesse un seguito, la tradurremmo all’italiana. Lo sbarramento si ridurrebbe a un prefisso telefonico e la frammentazione politica aumenterebbe ancor di più.
Chi sogna a occhi aperti una terza forza che faccia da ago della bilancia tra le due coalizioni ridimensionate, con la prospettiva di una politica dei due forni di andreottiana memoria, le tenterà tutte per arrivare a una riforma elettorale che renda possibile una simile operazione. Ma è altamente probabile che rimarrà con un palmo di naso. Innanzitutto perché pende sul collo della nostra classe politica la spada di Damocle di un referendum elettorale che, concedendo il premio di maggioranza non più alla coalizione vincente bensì al partito più votato, ci farebbe passare dal bipolarismo al bipartitismo di marca britannica. E poi perché i terzaforzisti non hanno fatto i conti con i nostri maggiori partiti: con Forza Italia, An, i Ds, la Margherita.

Partiti non sono pregiudizialmente contrari a una riforma elettorale. Purché non minacci il bipolarismo. Perché mai dovrebbero iscriversi all’Avis per donare il sangue a chi vorrebbe, prima o poi, mandarli ai giardinetti a chiedere l’elemosina?
paoloarmaroli@tin.it

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