Biennale, giornata seconda, cioè quella dell’affollatissima conferenza stampa prima delle varie inaugurazioni e dell’apertura ufficiale. Ed ecco il giudizio: perfino il Montenegro e gli Emirati Arabi offrono arte migliore della nostra. Non lo afferma chi scrive - ben lungi da attribuirsi tali splendenti virtù da critico d’arte - ma il quotidiano La Repubblica per la penna di Natalia Aspesi. L’attacco è diretto al padiglione Italia (quello di B&B come è stato battezzato dai nomi dei due curatori, Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli, nella foto a sinistra), padiglione che, «under attack», finisce per salire alla ribalta e diventare l’attrazione numero uno di una 53ª Biennale che altrimenti si trascinerebbe come al solito straccamente fra un pettegolezzo di galleristi e un aperitivo riscaldato dal bollente giugno veneziano, e invece no. Alla seconda giornata delle pre-inaugurazioni, il pubblico fa la fila al padiglione, soprattutto i giornalisti stranieri, «forse perché non hanno letto la stampa italiana», commenta Luca Beatrice.
Ed è un bene. Non per loro, ma per la stampa italiana. Si risparmiano, in tal modo, di assistere per esempio alla malinconica decadenza di quella che fu una brillante penna di costume - parliamo di Natalia Aspesi - costretta a esercitarsi in pochi giorni, prima sui supposti amori di Berlusconi, poi in rapido passaggio sulla demolizione della rassegna italiana. Un po’ di confusione di linguaggio in questo caso è comprensibile. Lo comprendono anche i curatori, Beatrice Buscaroli felice dei lusinghieri giudizi del direttore Daniel Birnbaum e del presidente Paolo Baratta in conferenza stampa, e Luca Beatrice: «A me fa molto piacere - afferma quest’ultimo - che della Biennale parlino anche i giornalisti non esperti d’arte, come la signora Aspesi. Mi sembra giusto che la si racconti con gli occhi del pubblico. Certo che se uno viene con il giudizio già pronto in tasca...».
Quello che invece infastidisce più di tutto l’altro curatore, Beatrice Buscaroli, è che gli affamati demolitori con il registratore che scotta «di tutto parlano fuorché d’arte. A distanza di sei mesi ancora chiedono ragioni sulla nostra nomina da parte del ministro dei Beni culturali. Si andassero un po’ a vedere le norme che regolano tutte le esposizioni d’arte del mondo».
D’arte continua invece a parlare, con la ripetitività di un disco in loop Francesco Bonami, già direttore della Biennale del 2003, secondo il quale «questa mostra fa dell’Italia, anche in arte, un Paese di serie C». Gli artisti ringraziano.
Ringraziano quelli già presenti in precedenti biennali, come i veterani Sandro Chia e Gian Marco Montesano, o come Manfredi Beninati, Premio Giovane Arte Italiana alla Biennale del 2005. Ringraziano tutti gli altri che hanno comunque alle spalle esposizioni in importanti rassegne pubbliche di tutto il mondo. Ma anche il fatto che sono stati chiamati in venti anziché in due come al padiglione Italia della precedente Biennale (Penone e Vezzoli) non va giù agli indignati critici. La varietà infastidisce. Ma quanti artisti tedeschi sono presenti per esempio alla rassegna Documenta? «La Biennale - aggiunge Beatrice Buscaroli - nacque proprio con questo scopo: mettere a confronto gli artisti italiani con il mondo. E così abbiamo fatto».
E gli artisti come giudicano questo bistrattato padiglione? «Un’eccitante sorpresa - risponde Marco Cingolani, il pittore che in rassegna affronta direttamente il rapporto fra religione ed arte - anche perché l’offerta è stata eterogenea e non è stata praticata alcuna censura dello sguardo».
Giacomo Costa, autore di spettacolari archeologie della modernità
create al computer, si stupisce che ancora si parli d’arte in termini di destra e di sinistra. «Anch’io - dice - credevo che le scarpe Superga fossero di destra e le Clark di sinistra. Avevo 15 anni. Poi sono cresciuto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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