Resistenza fiscale

La Madrid repubblicana che resisteva ai franchisti negli anni Trenta lanciò il grido: «No pasaràn». Non portò fortuna, prevalsero i golpisti. Il popolo del centrodestra non ha raggiunto l'obiettivo di confermare il governo Berlusconi ma ha spezzato un assedio che per dimensioni e collegamenti (dai banchieri alla stampa del piccolo establishment, dalla magistratura alle corporazioni culturali) sembrava inarrestabile. Oggi quel popolo va unito e fatto pesare, e lo slogan per farlo, dovrebbe essere «No tasaràn». La forza di un'opposizione a un eventuale governicchio Prodi non potrà non tenere conto delle condizioni in cui si trova non solo l'Italia ma tutta l'Europa centrale, dalla Francia che non riesce a fare neanche una minima legge sulla flessibilità, alla Germania dove uno dei due partiti della Grande coalizione, i socialdemocratici, sono in crisi evidente. Per non parlare di quel che succede nel mondo con l'Iran vicino alla bomba atomica.
Bene dunque ha fatto Silvio Berlusconi ad avanzare una proposta di unità nazionale su pochi punti e a scadenza. E bene farà dopo il frettoloso rifiuto prodiano, a calibrare l'opposizione tenendo conto degli interessi nazionali. Il governicchio Prodi condizionato dall'ala estremista (circa un terzo della coalizione a Palazzo Madama), dall'ostilità dell'Italia produttiva, dalla ristretta maggioranza, non andrà lontano. La soddisfazione di mandarlo a casa va però commisurata con l'esigenza di evitare guai all'Italia: sarà bene dunque chiarire le condizioni di un'opposizione costruttiva. Niente «vendette» contro chi ha perso, niente ritorni a giustizialismi trionfanti. E soprattutto nessuna pretesa di scaricare sui risparmi degli italiani i prossimi programmi di governo. All'esecutivo di centrosinistra, se alla Camera reggerà la sua sparuta maggioranza dopo i controlli della Corte d’appello sulle schede contestate, toccherà d'indicare gli indirizzi di governo. Ma se vorrà contare sulla costruttività dell'opposizione, oltre che furie vendicative e giustizialiste, dovrà mettere da parte i progetti di supertassare bot, cct, fondi d'investimento, prime case, o di aumentare contributi ai lavoratori autonomi. Intese bipartisan possono sorreggere gli sforzi di taglio della spesa pubblica. La scelta di una rapida cessione di parte notevole del patrimonio pubblico va perseguita per abbattere il debito dello Stato. Ma l'idea di spremere i ceti medi per finanziare i soliti piani d'ingegneria sociale che la sinistra partorisce quando va al governo (le Irap o le Ici), questa idea i leader del centrosinistra, da quelli più cauti a quelli più esagitati, devono convincersi che non hanno «i numeri» per perseguirla.
I leader del centrodestra dovrebbero riflettere sull'opportunità di mobilitare i propri elettori: mentre diessini, margheritini, rifondaroli tra vecchi partiti, sindacati, salottini diegodellavallistici, stampa «indipendente», varie consorterie, hanno modo di «orientare» costantemente la propria base, ai partiti della Casa delle libertà mancano strumenti paragonabili a quelli avversari per parlare con la propria gente. Non sarebbe, dunque male, trovare il modo di spiegare agli elettori che il voto di aprile, al di là degli esiti più positivi mancati per qualche suffragio, ha costruito nel Paese un baluardo a difesa di libertà fondamentali e del diritto a resistere all'esosità fiscale.

Se una manifestazione fosse organizzata con questo scopo, lo slogan per convocarla dovrebbe essere: «No tasaràn». E questa volta la resistenza all'oppressione (fiscale) avrebbe basi più sicure di quella madrilena ai franchisti.

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