RomaRimarrà nascosta sul fondo di un cassetto, forse, chissà per quanto tempo. Per volere del premier in veste «dialogante». Anche se la lettera è pronta da un mese, già scritta e firmata da Franco Frattini, vistata da Angelino Alfano, approvata in prima battuta dallo stesso Silvio Berlusconi. Ma tantè. E resterà pare custodita a lungo, nonostante fosse da imbucare sin da inizio dicembre. Quando impazzava il caso Spatuzza e la stampa di tutto il mondo riportava le dichiarazioni del pentito di mafia contro «quello di Canale 5». Quando, per capirci, eravamo in pieno caos politico-mediatico e andava denunciato - secondo gli intenti del governo - il rischio manipolazione di quanto accaduto prima e dopo le stragi di mafia del 92-93. Anche perché, attorno a quelle che la maggioranza etichettava come «chiacchiere da bar di un pluriomicida», si sarebbe cercato di infangare limmagine del Cavaliere e dellintero Paese.
Insomma, mancavano solo i francobolli (si fa per dire) alla missiva del responsabile della Farnesina, indirizzata agli altri 26 ministri degli Esteri europei. Una lettera con cui il capo della nostra diplomazia intendeva, in quanto ex magistrato, riferire ai suoi attuali colleghi le anomalie del caso Italia. Ripercorrendo, per tappe, il conflitto istituzionale, scoppiato nei primi anni Novanta, ma sempre di strettissima attualità. «Voglio raccontare che in Italia ci sono magistrati con la toga sulle spalle che fanno comizi politici, dichiarazioni di tipo politico contro iniziative legislative del Parlamento che il Parlamento non ha ancora adottato», spiegava tra laltro Frattini, il 18 dicembre, a Rainews 24. Sempre convinto, cinque giorni dopo laggressione al Duomo, del fatto che «si leggono molte critiche ingiuste allItalia, sui giornali europei, nate da una mancata conoscenza di meccanismi che vanno spiegati».
Con il suo intervento scritto, che per ora si conserva con cura alla Farnesina e a Palazzo Chigi, si sarebbe tracciato lo scenario vissuto negli ultimi quindici anni nel Belpaese. Alla luce dellaccanimento giudiziario nei confronti del presidente del Consiglio - ricordano in ambienti pidiellini - su cui si sono abbattute, a partire dalla sua entrata in politica, numerose inchieste. Un dossier su cui sarebbe messo laccento pure sulle differenze tra Italia e resto del mondo, in merito a responsabilità e carriere dei pubblici ministeri. In definitiva, una risposta alle accuse che piovono con insistenza da anni sulla testa di Berlusconi.
Temi su cui il diretto interessato, per la verità, si era espresso ampiamente il 10 dicembre a Bonn, durante un congresso del Ppe, e sui quali, di contro, lopposizione aveva già alzato lasticella dellindignazione. La preannunciata lettera di Frattini «per denunciare il presunto, grave condizionamento politico, e linattendibilità delle iniziative giudiziarie della nostra magistratura - affermava infatti il vicepresidente vicario del Parlamento europeo, Gianni Pittella (Pd) - è di una gravità senza precedenti, che rischia di compromettere definitivamente la credibilità del nostro sistema-paese allestero».
Si era in pieno scontro politico. Ma i fatti del 13 dicembre cominciavano a lasciare il segno. E nella mente del premier maturava pian piano lidea dello «stop» alla missiva. Una scelta con uno scopo ben preciso: portare fino in fondo il tentativo di «trasformare un male in bene», che non a caso è il ritornello fatto circolare a lungo dal capo del governo durante la convalescenza ad Arcore. Pronto a far sfumare la linea offensiva, per evitare strappi e polemiche pericolose, visto che in queste settimane si è nel pieno della trattativa con lopposizione più moderata, quella «davvero interessata a lavorare per il bene dellItalia».
Ed è a Villa San Martino (8 gennaio 2010), che Berlusconi, durante una riunione a cui assistono in parte alcuni esponenti del Pdl, invita Frattini - si spiffera nel centrodestra - a desistere dalliniziativa, nonostante fosse stata da lui già avallata in precedenza. «Dobbiamo approfittare del momento politico particolare e provare davvero a ricercare il clima di dialogo con il centrosinistra, nella speranza, forse remota, di realizzare insieme le riforme che servono al nostro Paese», avrebbe ribadito il padrone di casa al titolare degli Esteri. E così, tranne sorprese o cambi improvvisi di strategie, la lettera per adesso non partirà.
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