il retroscena2

diPer quanto tempo ancora potrà resistere il regime alawita del presidente Assad in Siria? Probabilmente più a lungo di quanto pensino i soliti esperti ufficiali del Medio Oriente. Una previsione avvalorata dalle ultime mosse delle autorità iraniane, che hanno annunciato di aver lanciato un nuovo missile a lunga gittata dopo aver avvertito Stati Uniti e Israele domenica scorsa di aver prodotto la prima barra a combustibile a base di uranio arricchito.
Nei primi mesi della rivolta a mantenere in vita il regime di Assad ci fu una ibrida coalizione di interessi di gruppi minoritari. Cristiani, curdi, drusi preferivano spalleggiare la minoranza religiosa eretica islamica alawita al potere da quaranta anni piuttosto di vederlo passare nelle mani della maggioranza sunnita di cui temevano i soprusi politici e religiosi. Col passare dei mesi e l’aumentare delle stragi, con l’aumentare delle difficoltà economiche a seguito delle sanzioni imposte dall’Occidente e dalla stessa Lega araba, l’indiscriminata violenta reazione al movimento rivoluzionario (a cui partecipavano membri di queste minoranze) avevano indebolito questo incoerente sostegno al regime, al punto di favorire diserzioni dall’esercito e scontri fra truppe lealiste e ostili al governo. Questi scontri e la rottura dell’alleanza fra Siria e Turchia hanno creato l’impressione che la caduta di Assad fosse imminente. Era ignorare la duplicità delle classi politiche Medio Orientali e la loro capacità di gabbare l’opinione pubblica specie occidentale. Mentre nelle città siriane e in particolare a Homs - centro come nel 1992 della rivolta contro il regime alawita di Damasco - si continuava a morire, Arabia Saudita e Iran - due storici acerrimi nemici politici e religiosi - trattavano tramite la Lega Araba la salvezza almeno temporanea del regime di Assad. Ad aprire le porte di questo negoziato fra governi tirannici sembra siano stati i delegati del Qatar e dell’Arabia saudita anche per conto degli Emiati Arabi, spaventati dalla possibilità dell’estendersi della rivolta popolare alle loro zone ricche di petrolio, come nel caso del Bahrein dove la rivolta popolare shiita contro il regime monarchico sunnita è stata soppressa manu militare dalle truppe saudite.
Il primo passo è stato l’invio di 150 osservatori della Lega Araba. Quali fossero i compiti di questi osservatori «fraterni e imparziali» lo si è capito subito dalle dichiarazioni del loro capo il generale sudanese Mustafa Dabi degno rappresentate del suo presidente incolpato dal Tribunale internazionale dell’Aia per crimini contro l’umanità. «La situazione a Homs - ha detto - non ha nulla di terrificante» anche se l’ispezione è appena incominciata e ci sono «altrove condizioni difficili». Dietro questa farsa ci sarebbe, secondo Farid Ghadri, capo del Partito della Riforma siriano con sede in America, uno scambio di «servizi» fra dittatori nemici ma impauriti. L’Iran si impegnerebbe a cessare la sobillazione degli shiiti nella provincia orientale saudita (dove la maggioranza della popolazione è shiita) unitamente allo scambio della «tranquillità» in Bahrein (emirato shiita controllato da un regime monarchico sunnita puntellato militarmente dai sauditi) e in Siria. Nel vuoto creato dalla ritirata degli Stati Uniti dal Medio Oriente e nella difficoltà della Turchia, nonostante le sue ambizioni imperiali neo ottomane di prenderne il posto, la Lega Araba vede l’occasione di assumere un ruolo attivo dopo decenni di immobilismo e irrilevanza politica. Se questa iniziativa riuscirà a salvare Assad e il suo regime e a quale prezzo economico e di sangue, è ancora tutto da vedere.

Ma l’attuale instabilità del mondo arabo in preda a convulsioni impreviste e incontrollabili da parte delle grande potenze rivela anche una dimensione di ipocrisia politica che sino ad oggi era riservata dagli arabi (e non solo da loro) verso Israele.

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