La Rice a Gerusalemme per scatenare la pace

Dopo aver fatto tappa a Bagdad il segretario di Stato Usa punta tutto sul vertice di domani con Olmert e Abu Mazen

Un po’ di luce a Bagdad. Buio pesto tra Ramallah e Gerusalemme. Il viaggio di Condoleezza Rice negli abissi mediorientali procede a tentoni in attesa dell’exploit diplomatico di domani quando il segretario di Stato interpreterà il ruolo di prima donna nell’inedito vertice triangolare con il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Mahmoud Abbas. L’inattesa e segreta tappa irachena è sicuramente servita a infondere un po’ di fiducia alle truppe e ai generali americani impegnati in una per molti versi decisiva sfida al terrorismo e alle forze insurrezionali. Ma è servita anche a condividere la gloria di un piano di sicurezza avviato per la prima volta con buoni auspici. Quel piano porta soprattutto il nome e l’impronta del generale David Petraeus. Il neodesignato comandante delle forze americane in Irak è l’autore del manuale di terrorismo dell’esercito americano e il nuovo piano è soprattutto farina del suo sacco. Ma, inutile negarlo, di quella farina il segretario di Stato non può, in questo momento, fare a meno.
A digiuno di risultati concreti da troppi mesi la Rice ha un disperato bisogno di rilanciare la propria immagine. I primi positivi risultati del nuovo piano antiterrorismo valgono bene, dunque, la fatica e i rischi della tappa irachena. «Il piano di sicurezza ha regalato un po’ di sicurezza e ottimismo, la gente può finalmente tirare il fiato e riprendere le proprie attività» ha fatto notare la Rice dopo un incontro con il primo ministro iracheno Nuri al Maliki. I dati sembrano darle ragione. Da quando il generale Petraeus ha diviso la capitale in settori e ha avviato un’incessante serie di rastrellamenti e pattugliamenti gli attacchi e gli attentati sono diminuiti dell’ottanta per cento. Anche le macabre statistiche dell’obitorio sembrano confermare questa tendenza. Il numero quotidiano dei cadaveri - oscillante fino a una settimana fa tra 40 e sessanta – è sceso a una ventina. Non è la tanto attesa vittoria, ma è il primo barlume di luce in fondo al tunnel. Per continuare su questa strada, ha ricordato la Rice, anche i leader politici iracheni devono però dimostrare di saper «stare al ritmo» realizzando quanto promesso. Dopo la veloce tappa irachena il segretario di Stato ha fatto rotta su Gerusalemme dove l’attendeva il ministro degli Esteri Tzipi Livni. Lì a differenza di Bagdad, il segretario di Stato non può far affidamento sul lavoro di nessuno. Il piano trilaterale è farina del suo sacco e spetta a lei riuscire a concluderlo nel migliore dei modi rilanciando i negoziati mediorientali. Le premesse non sono delle migliori. Il premier israeliano Ehud Olmert ha già detto di non voler raggiungere nessun accordo conclusivo. A Ramallah il presidente palestinese ha invece risposto a muso duro al sottosegretario di Stato David Welch arrivato a esprimergli l’insoddisfazione di Washington per quell’accordo della Mecca sul governo d’unità nazionale che non prevede - da parte di Hamas - né il rifiuto della violenza, né il riconoscimento d’Israele, né il pieno rispetto degli accordi di pace pregressi. Abbas ha liquidato quelle osservazioni descrivendo l’accordo come il migliore possibile e aggiungendo che il mondo dovrà abituarsi a fare i conti con esso. Con questi presupposti il vertice di lunedì sembra ben lontano dal produrre svolte sostanziali.


Sempre che Condoleezza non ammorbidisca la linea statunitense e non convinca l’alleato Olmert a giudicare dai fatti, e non dai programmi, il nuovo esecutivo palestinese. La mossa, secondo molti osservatori, potrebbe smorzare le pretese d’accordi conclusivi avanzata da Abbas facendogli accettare un significativo e concreto calendario negoziale.

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