Riforme, Bersani prepara il ricattino

Tutto pronto per aprire la stagione delle riforme. Come condizione, il Pd chiederà di cambiare la legge elettorale, per poter vincere anche senza essere maggioranza nell’urna. Da Positano il presidente Napolitano: "La nuova fase mi rasserena"

Riforme, Bersani prepara il ricattino

Ieri il Presidente della Repubblica si è detto finalmente sereno per via del ritrovato clima di intesa sull’apertura della stagione delle riforme. Anche Berlusconi è ottimista, e ne ha qualche ragione visto il risultato elettorale. Il premier non dispera di riallacciare un rapporto con Fini e di recuperare un accordo con Casini, entrambi usciti, per motivi diversi, malconci dalla tornata delle Regionali. Bersani invece non è felice. Per nulla, ma sa che al tavolo delle riforme deve sedersi. O meglio, deve dire che è disposto a sedersi, pena la perdita di qualsiasi credibilità e forse anche della poltrona. L’attuale leader del Pd è un riformista, questo è noto, ma in questo momento a lui interessa una sola riforma, l’unica che può dare una qualche speranza alla sinistra di vincere, un giorno o l’altro, le elezioni. Si tratta appunto della riforma elettorale, senza la quale il centrodestra ha già in cassaforte, salvo colpi di scena al momento imprevedibili, la riconferma della sua leadership anche all’appuntamento con le urne del 2013.
L’argomento è complesso, e pure noioso. In sintesi, e semplificando. Oggi in Italia si vota con un sistema, chiamato «Porcellum». Il partito, o la coalizione che ottiene un voto più degli altri vince le elezioni e diventa maggioranza assoluta in Parlamento grazie a un premio che lo porta automaticamente ad avere il 55 per cento dei seggi. Rispetto a questo Bersani ha due problemi. Primo: il Pd non sarà mai il primo partito, tanto è il divario col Pdl. Secondo: per tentare di battere l’asse Pdl-Lega, dovrebbe aggregare uno schieramento (dai centristi a Grillo passando per Verdi e neo comunisti) talmente disomogeneo che non reggerebbe un mese di governo.
Ci sarebbero altri due modi di votare. Uno, già sperimentato in Italia col nome di Mattarellum, prevede che in ogni collegio i candidati si sfidino e che venga eletto quello che prende più voti. Così facendo non è detto che a livello nazionale il partito che ottiene più voti abbia anche più parlamentari. Nel ’96, per esempio, la Casa delle Libertà raccolse oltre un milione di voti in più ma perse le elezioni. Il terzo sistema è il cosiddetto «alla tedesca», cioè un misto dei primi che non decreta un vincitore certo ma lascia liberi i partiti di formare le alleanze di governo in base ai risultati ottenuti (non per nulla è il preferito da Casini che potrebbe così di volta in volta essere l’ago della bilancia).
Ovvio che la sinistra punti su un sistema che gli permetta di vincere e governare pur avendo meno voti. Non a caso il giorno dopo la sconfitta alle regionali, invece che cercare di capire i motivi del crollo, da quelle parti si è subito parlato di nuove regole, ottenendo purtroppo anche qualche attenzione nella parte avversa. E proprio questo è il trappolone su cui punterà Bersani per avviare il dialogo sulle riforme. Come? Pretendendo che prima di parlare di giustizia, fisco e presidenzialismo, si affronti in qualche modo il tema elettorale. Se non un ricatto, certamente un ricattino.
Che la legge elettorale, in vigore dal 2005, non sia il massimo è cosa nota. È chiamata «Porcellum» dopo che il suo artefice, il leghista Roberto Calderoli, la bollò come «porcata», per via delle continue modifiche che snaturarono l’idea originaria. Con queste regole Romano Prodi vinse le elezioni del 2006 e Berlusconi le successive del 2008. Ovvio che se si vuole passare a un sistema presidenziale bisognerà rimettere mano al meccanismo elettorale.

Ma qualsiasi modifica dovrà essere fatta solo se necessaria e funzionale a modernizzare il Paese, non a consegnarlo agli avversari. E soprattutto va tenuto fermo il principio che governa chi ottiene la maggioranza dei consensi. Non chi è più furbo.

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