Le riforme

L’elezione di Fausto Bertinotti alla presidenza della Camera e di Franco Marini al Senato sono utili per capire le dinamiche del centrosinistra, il grado di divisione all'interno di quella coalizione ma anche la capacità di ricomposizione giocando sulla distribuzione del potere: che cosa conta se avremo un inadatto Clemente Mastella alla Difesa e un Antonio Di Pietro, che già ha fatto tanto male circa dieci anni fa, alle Infrastrutture? The show must go on: lo spettacolo prodiano deve continuare.
L'operazione Marini mostra come il centrosinistra possa operare anche erosioni (per ora marginali) nell'opposizione di centrodestra. E spiega come un'opposizione tutta concentrata solo sul fronte parlamentare, distratta nel parlare alla società, sarebbe alla fine penalizzata nonostante il voto del 9 e 10 aprile.
Ecco perché, pur ribadendo come l'iniziativa parlamentare sia il terreno fondamentale per forze politiche nazionali e che siano opportune mosse di apertura sulla questione del Quirinale come quelle fatte da Silvio Berlusconi, il centrodestra deve sapere mantenere nella prossima fase politica legami stretti con gli elettori. Decisiva sarà la preparazione del referendum sulle riforme costituzionali approvate in questi anni dalla maggioranza di centrodestra. Queste riforme introducono elementi di efficienza nella vita istituzionale (poteri del premier e fine del bicameralismo perfetto) e un intervento strutturale nell'organizzazione dello Stato: la devoluzione «esclusiva» di alcuni poteri dall'Amministrazione nazionale alle Regioni. Contro queste riforme costituzionali, sottoposte a referendum il 25 e il 26 giugno, si sono messi in movimento gli elementi più conservatori della politica e della cultura istituzionale italiane. I poteri conferiti al premier dalle nuove riforme sono essenzialmente gli stessi di un Tony Blair o di una Angela Merkel, ma in Italia sono imputati di un autoritarismo senza freni. Le attribuzioni esclusive di funzioni alle Regioni sono sostanzialmente identiche a quelle concesse in Gran Bretagna o in Spagna, ma da noi sono accusate di sfasciare l'unità nazionale. Non è un caso che alla testa dei conservatori vi sia quel rancoroso e arrogante personaggio che è Oscar Luigi Scalfaro, la cui integrità politica si è misurata anche in questi giorni in cui ha presieduto per meriti di anzianità il Senato.
In questi anni il centrodestra ha, sulle riforme costituzionali, più pensato a trovare equilibri politici e parlamentari che a spiegar bene le scelte che stava assumendo. Oggi è il momento di lanciarsi in una campagna di lunga lena per valorizzare gli elementi di modernizzazione e democratizzazione che le riforme portano nell'organizzazione dello Stato italiano. In particolare è indispensabile far riflettere sull'importanza della riforma federalista. Solo con una distribuzione chiara dei poteri tra i vari livelli dell'organizzazione dello Stato, su chi e su come si decidono spese e entrate, si potrà tenere sotto controllo il disavanzo dello Stato e in particolare avviare quella smobilitazione del diffuso patrimonio pubblico che è l'unica vera alternativa a uno sciagurato inasprimento fiscale. Andrà spiegato soprattutto al Sud, come le scelte federaliste, anche grazie ai fondi di solidarietà, non determinano discriminazioni, bensì trasparenza. Non sono antimeridionali bensì antiburocratiche.

Mancano poco meno di due mesi al voto, è fondamentale mobilitare amministratori locali, specialisti di orientamento liberale, imprenditori, leader sindacali che si ribellano alle nomenklature centraliste. Tutti devono fare la loro parte.

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