Il riformismo che non c’è

Si è aperto ieri a Rimini il congresso nazionale della Cgil. È il primo dopo la segreteria di Sergio Cofferati. E si sente. Il neo sindaco di Bologna ha gestito la sua ultima fase da segretario del più grande sindacato italiano su una linea massimalistica. Comunque, lo ha fatto da leader ben in controllo della propria organizzazione. Guglielmo Epifani, invece, non è un segretario dotato di grande carisma: ex socialista è stato preferito ai più solidi post comunisti, Giuseppe Casadio e Paolo Nerozzi, perché Cofferati non voleva un successore troppo autonomo, sperando di proteggere così i suoi più fedeli Carlo Ghezzi e Achille Passoni. Dopo quattro anni Epifani si è senza dubbio consolidato ma il suo stile (e il suo potere) restano defilati. Anche quando, qualche settimana fa, è andato a contestare la linea della Fiom (i metalmeccanici della Cgil), lo ha fatto con toni piagnucolosi («Non potete pretendere di decidere da soli come Fiom») piuttosto che sostenere a viso aperto la sua linea più riformista.
Il nuovo amletico segretario cigiellino vorrebbe senza dubbio la Cgil su posizioni più aperte sulle questioni della contrattazione nazionale, vorrebbe rinnovare l'impegno alla concertazione, ci starebbe a ragionare sulle politiche di flessibilità. Ma persegue questi indirizzi stando sempre sulla difensiva. Appellandosi all'esigenza di battere il governo Berlusconi, è riuscito a evitare mozioni alternative. Però proprio su concertazione e contratto nazionale, il segretario della Fiom Gianni Rinaldini (d'intesa con Giorgio Cremaschi anche lui della Fiom ma anche di Rifondazione) ha piazzato una serie di emendamenti che hanno avuto un certo successo: e sulla sua linea sono stati eletti i segretari delle Camere del Lavoro di Brescia, Reggio Emilia e Cosenza. Cofferati, usando i vecchi trucchi di scuola comunista, si era costruito una sinistra Cgil «amica» guidata da Gian Paolo Patta, ma questa conta sempre meno (Patta se ne andrà a fare il parlamentare), e il duro Rinaldini e l'intelligente Cremaschi daranno più d'un fastidio a Epifani.
Intanto si sono spostati sempre più a sinistra sindacati chiave come quelli della scuola e del pubblico impiego, base di Nerozzi che da un momento all'altro potrebbe trovare una accordo con la Fiom e spostare a sinistra tutta la Confederazione.
Certo, ci sono in Cgil sindacati di categoria su salde posizioni riformiste, dai chimici ai tessili. Il sindacato delle telecomunicazioni ha firmato un avanzato accordo che valorizza la legge Biagi. Ma oggi il tono non viene da questi settori, bensì dalle organizzazioni su posizioni più chiuse. D'altra parte sarà sempre più il pubblico impiego a segnare la linea cigiellina.
In questo senso sono evidenti i frutti che il XV congresso della Cgil potrà dare. Ci sarebbe bisogno di un sindacato che pensasse alla trasformazione sempre più terziaria dell'Italia, che avanza mentre tutti i gufi predicano il declino. Ma questo è chiedere troppo. Sarebbe utile che almeno si studiassero politiche contrattuali in grado di redistribuire reddito ai lavoratori nelle punte alte del sistema produttivo. Ma ciò richiederebbe di puntare più nettamente sulla contrattazione aziendale. E implicherebbe studiare forme, nelle aree depresse, di contrattazione ad hoc, come in parte auspica il giuslavorista Piero Ichino.
Questo, però, è pretendere l'impossibile: al massimo Epifani arriva a criticare gli scatenati esponenti del centro studi della Cgil che proclamano fatwa contro Ichino. Di più non può fare. Per il resto l'amletico segretario punta tutto sulla politica: basta con il governo Berlusconi, rovina dell'Italia. È l'unica cosa che viene detta con chiarezza. Sulla legge Biagi s'impasticcia molto tra le posizioni più massimalistiche della Fiom e le esigenze di unità con la Cisl, che la legge ha sostenuto. S'invoca un piano fiscale, una sorta di «più soldi agli operai, meno soldi ai bottegai», slogan estremistico che la Cgil metteva al bando dai suoi cortei, quando la disciplina paleocomunista teneva a freno le spinte estremistiche che rovinavano la politica di alleanze del partito, anzi del Partito.
Certo la vaghezza di Epifani è una sorta di specchio della vaghezza di certi ambienti confindustriali.

Entrambi sognano un modo dove quei rompiscatole che si occupano di questioni concrete, i salarialisti della Fiom o gli industriali attenti alla compatibilità come Alfredo Bombassei, fossero messi un po' da parte. Ahimè! I problemi hanno la testa dura e chiedono soluzioni chiare: magari in un senso piuttosto che in un altro, ma chiare. È inutile, però aspettarsele dall'abatino Epifani.

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