Il rifugio moralista di Prodi

L’ultimo rifugio delle canaglie è il patriottismo, diceva Samuel Johnson. Verrebbe da sostituire «moralismo» a «patriottismo». Pensierino che nasce dopo avere letto l'articolo di Romano Prodi sulla Stampa di mercoledì. Si denuncia la troppa vicinanza tra centri di potere economico e politica. Il ridicolo non sta solo nel passato dell'ex presidente Iri, ex consulente Goldman Sachs e così via. Ma anche nel presente: si valutino le liste di siloviki (così sono chiamati gli ex del Kgb che formano il nucleo del governo Putin) prodiani, legati alle antiche Partecipazioni statali e alle passate consulenze, che si apprestano in caso di vittoria a invadere lo Stato. Come successe nel '96. E non è invece successo nel 2001 con Silvio Berlusconi. L'intimità con grandi banchieri che mediano la linea di certa stampa nazionale e ne smussano le asperità antiprodiane, sono, poi, un'altra abitudine dell'ex professore bolognese.
Rimasticare moralette contro il diritto al successo individuale, apprestare malamente un dossettismo anni 2000 non mascherano la realtà di un uomo assai attento a definire assetti intrecciati tra potere politico e potere economico. Comprendiamo che il Corriere della Sera, con Gianni Riotta e Ernesto Galli della Loggia (che, peraltro, farebbe bene a smetterla di usare le attività professionali di Ubaldo Livolsi per gridare al complotto: anche perché se si ricostruiscono le frequentazioni di chi ha avuto legittimi rapporti di lavoro con un immobiliarista allora non sputtanato come Stefano Ricucci, si va lontani), il Corriere non possa che sfumare la realtà profonda del moralismo prodiano. Propriété oblige. Si preferisce, invece, parlare astrattamente di regole e etica. Ma le regole e l'etica non sfuggono alla dimensione storico-concreta della realtà. Il che senza dubbio è vero per i Ds che non possono sperare di cavarsela politicamente puntando tutte le carte sull'ipocrisia («Non tifavamo per l'Unipol ma per regole che consentivano a Unipol di acquisire Bnl»). I Ds, però, sono solo una punta, sia pure macroscopica, dell'ipocrisia nazionale. Sul Sole 24 Ore un serio studioso come Marco Onado, esamina le operazioni della Lodi e soci per scavalcare e svuotare il mercato in modi illegittimi (lasciamo da parte i crimini macroscopici) e conclude che il problema non sta solo negli avventurieri. Infatti alcune operazioni descritte non sono messe in atto esclusivamente da outsider. Al contrario, non le disdegnano, in qualche (rilevante) caso, rami nobili dell'establishment.
Oggi è in atto oltre che un'opera di giustizia (la persecuzione di reati) anche un linciaggio di chiunque abbia avuto rapporti con coloro che materialmente hanno compiuto fatti illegali. Uno sport nazionale. A rischio smentite. I superlodati calvinisti di AbnAmro contrapposti ai furbetti italioti, sono stati condannati a New York per multe di 43 milioni di dollari perché pasticciavano su mutui di clienti americani e riciclavano soldi con Dubai. Giorni fa sulla Stampa è uscito un articolo che s'intitolava più o meno così: le degenerazioni della Lodi erano frutto innanzi tutto dell'uso di equity swap, cioè complicati passaggi di azioni attraverso strumenti derivati. L'impiego disinvolto di equity swap per manovre al riparo del mercato non è, però, solo consuetudine lodigiana.

Anche in ambienti che il giornale torinese dovrebbe conoscere bene (e su cui la Consob spiegherà qualcosa nel mese di gennaio) è stato sperimentato l'uso ardito di questa tecnica. Viva, dunque, le regole. Ma la riflessione per migliorare la società sia concreta e meno unilateralmente moralistica.

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