Rimini processa la stampa Tappeti «rossi» al potere

Dibattito al Meeting, Mazza: «Poche schiene dritte in Rai». Belpietro: «Satira autocensurata»

Fabrizio de Feo

nostro inviato a Rimini

È una lezione di giornalismo appaltata a tre direttori di grandi testate, quella che il Meeting di Rimini organizza nei padiglioni della Fiera. Un'analisi affilata e dissacrante delle ipocrisie che spesso circonda una certa «cupola» dell’informazione.
È il direttore di «Tracce», Alberto Savorana, il maestro di cerimonia che interroga il direttore del Tg2, Mauro Mazza, quello del «Quotidiano Nazionale», Giancarlo Mazzuca e quello de «il Giornale», Maurizio Belpietro. Il quesito è impegnativo e aperto: «Quanto costa una notizia?». Una domanda che ha a che fare con il potere di decidere cosa fare «esistere» dal punto di vista informativo. Ma anche con il prezzo che bisogna pagare quando si vive controcorrente, scrivendo fuori dal coro, attestandosi su una tonalità differente da quella della grande orchestra dell’informazione quasi compattamente schierata con il centrosinistra. Il primo affondo è firmato da Mauro Mazza che scatta una fotografia impietosa del momento dell'informazione Rai. «Ciampi ci chiese di avere la schiena dritta di fronte al potere» ricorda il direttore del Tg2. «Da qualche tempo, da quando è cambiato il governo non vedo molte schiene dritte nella mia azienda. Vedo tanti tappeti rossi. E sottolineo rossi. Alle pressioni siamo abituati. Ma ora se per una sera non riusciamo a dare volto e voce a un ministro, pochi minuti dopo la sigla arriva una nota di protesta». La palla poi passa a Mazzuca che difende la scelta di pubblicare sulle pagine di «Qn» l'inserzione a pagamento contro Israele, chiarendo di aver spiegato ai lettori quanto fosse distante il «Qn» da quella inserzione.
L'intervento più deciso è, però, quello del direttore de «il Giornale». Belpietro ribalta il quesito di partenza. «Quanto costa una notizia? Dipende. Perché pubblicare una notizia può anche far guadagnare. Il punto è scegliere notizie scomode. Un esempio? Per aver pubblicato la foto di un bambino non nato ma giunto al nono mese di gravidanza, la cui madre era stata uccisa, io sono stato fatto oggetto di un procedimento dell’Ordine dei giornalisti. Anche per questo chiedo l'abolizione dell'Ordine perché non credo abbia alcun titolo per dire se è giusto o non è giusto pubblicare una fotografia. In nessun Paese al mondo quattro burocrati possono pretendere di insegnare quale notizia dare e quale non dare».
Belpietro sferra, poi, un duro attacco alla «sua» categoria. «Quanta responsabilità ed etica c'è nel nostro giornalismo? Poca. C'è soprattutto l'interesse a far contento il potente di turno. Si raccontano i furbetti del quartierino ma dei volponi del quartierone non si racconta nulla». La platea, di fronte alle provocazioni di Belpietro, reagisce con applausi convinti. Il direttore de «il Giornale» lancia l’affondo: «Avete visto come è imbarazzante la satira in questo periodo? E non per una censura: è la satira stessa che ha provveduto ad autocensurarsi». Infine, un’annotazione su l’Ucoii. «Io l’avrei pubblicata quell’inserzione. Naturalmente preceduta da tutte le condanne del caso.

L’avrei pubblicata perché nascondere ciò che pensano gli estremisti può servire a rassicurarci, ma non a risolvere il problema di un integralismo islamico che c’è e che dobbiamo affrontare. Ora almeno sappiamo come la pensa l’Ucoii, resta da vedere cosa pensa di fare Amato».

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