
Anche quel giorno a Milano era stato un bagno di folla, atteso ma non scontato, nel clima di paura che si respirava in tutta Europa in quel tempo, con l'attentato a Westminster e il fallito attacco a Bruxelles. Il 25 marzo del 2017 Papa Francesco aveva insistito per viaggiare sulla Papamobile scoperta e questo suo atto di vicinanza, di amore ai milanesi che l'avevano lungamente atteso, lo aveva avvicinato ancora di più alla città, che gli ha regalato un abbraccio festante in piazza Duomo e poi alla Messa nel Parco di Monza con un milione di persone, ma anche nei suoi passaggi lungo le vie transennate, per un programma fitto di appuntamenti come sempre nella sua agenda senza sosta. Uno stile che lo ha accompagnato fino all'ultimo respiro. Gioia, allegria, felicità che adesso sembrano quasi un'altra era, mentre in Duomo, in Sant'Ambrogio, nelle altre chiese in festa per la Pasqua arrivano i fedeli in lutto per il fulmine sul lunedì dell'Angelo che è stata la morte di Papa Francesco.
Erano trascorsi appena tre anni dall'inizio del suo pontificato quando Francesco aveva voluto visitare Milano, la cui Chiesa era allora affidata al cardinale Angelo Scola. La prima volta di Francesco a Milano, a parte un brevissimo passaggio alla stazione negli anni Settanta. Una sola giornata piena di tutto. Il Papa, atterrato a Linate di prima mattina, aveva voluto visitare le Case bianche di via Salomone, dove aveva incontrato anche una famiglia straniera, di religione musulmana. Aveva pranzato con i detenuti a San Vittore, aveva incontrato i cresimandi a San Siro. In Curia era stato subito chiaro che i rituali del passato erano saltati, che nulla era simile a prima, e se anche oggi tutto ci sembra più consueto e il dialogo interreligioso è uscito dalle discussioni astratte per diventare realtà vissuta, è anche grazie a quei segni.
Forse nessuno allora poteva immaginare che una delle diocesi più grandi del mondo non sarebbe più stata sede cardinalizia, ma il nuovo passo di Francesco, con lo sguardo volto alle periferie del mondo e a ciò che è più piccolo, meno appariscente, aveva colpito tutti. «Grande comunione», «entusiasmo della fede», «calore dell'accoglienza dei milanesi», aveva scritto nel telegramma del giorno dopo, dove si firmava a mano «Fraternamente, Francesco». Chi ha potuto vedere quelle ore, sa che non c'è nulla di retorico in queste parole.
Così come quando aveva voluto essere vicino a medici, infermieri, operatori sanitari, che combattevano a mani nude contro il Covid, in quei terribili tempi che avevano sottratto alle famiglie persino l'opportunità di partecipare ai funerali dei propri cari, per evitare le possibilità di contagio. «Nella malattia noi abbiamo bisogno di qualcuno che ci salvi, che ci aiuti» aveva detto durante l'Angelus, tributando un applauso e un grande grazie al «personale sanitario che ha fatto vedere questa eroicità nel tempo del Covid, ma rimane l'eroicità tutti i giorni». Tanti i morti in quel periodo durante il quale il Papa non aveva mai smesso di far sentire la propria voce con le messe mattutine da Santa Marta in diretta tv.
Nel 2015, per l'Expo, aveva accontentato i milanesi a modo
suo, con un videomessaggio sulla fame che aveva inaugurato ufficialmente l'Esposizione universale. Anche la cotoletta alla milanese è entrata nella storia vaticana grazie a lui: un cibo prelibato, perciò da dare ai poveri.
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