Risiko bancario, Capitalia scende in campo

Il titolo guadagna il 3,24%, ai massimi dal marzo 2000: +50% in 12 mesi

Risiko bancario, Capitalia scende in campo

Angelo Allegri

da Milano

Matteo Arpe esce allo scoperto nella partita sulle aggregazioni bancarie: Capitalia è pronta a crescere, dice l’amministratore delegato dell’istituto, ma rifiuta operazioni condotte con una pura logica difensiva, nel «timore del forte peso degli azionisti esteri». Le possibili nozze «devono essere guidate da valutazioni industriali che valorizzino al meglio le diverse realtà organizzative coinvolte». E per di più «non possono essere finalizzate alla ricerca della sola dimensione, ma devono anche garantire la creazione di una base azionaria stabile e bilanciata».
Parole scelte con cura, pronunciate in un convegno dal titolo («Le città dei creativi») che sembrava alludere a tutt’altro tipo di considerazioni, e che segnano la prima decisa presa di posizione dell’istituto di via Minghetti sul cosiddetto risiko bancario: la disponibilità a parlare c’è, dice in chiaro Arpe, ma non siamo una potenziale preda e tutto deve avvenire alle condizioni da valutare insieme. E non a caso il numero uno operativo rivendica i risultati ottenuti dalla banca: «Capitalia, dopo tre anni di intensa riorganizzazione che ha moltiplicato per 6 il suo valore, possiede un patrimonio di professionalità, mezzi finanziari e di innovazione che favorisce un processo di dialogo con altri partner, d’intesa con gli azionisti».
Valutazioni di sistema, quelle di Arpe, ma anche una risposta alle voci e alle indiscrezioni degli ultimi giorni sul futuro della banca romana. Le stesse che hanno entusiasmato Piazza Affari: ieri il titolo, in una giornata positiva per tutto il settore, è salito del 3,24% a 5,98 euro, tornando ai livelli del marzo 2000, con un incremento di oltre il 50% negli ultimi 12 mesi. Alla base dell’interesse dei compratori ci sono ragioni note: un azionariato frammentato, la presenza di due soci di rilievo, Abn Amro e Pirelli, potenzialmente in uscita. Ieri la riunione del patto di sindacato ha ratificato i nuovi equilibri societari emersi nelle scorse settimane, dopo l’addio del gruppo Toro. Non c’è stata l’indicazione formale del nuovo consigliere di amministrazione che spetta a Fininvest (è competenza del board). Nessuna novità anche dal punto di vista dei numeri: i grandi soci controllano il 31,1%; Fonsai, al 3,13%, è disponibile a salire fino al 3,5; Fininvest si è assestata all’1%. E proprio quest’ultimo punto, insieme alle voci su una disponibilità a salire ulteriormente del gruppo del biscione, ha alimentato una delle ipotesi sul tappeto: quella di un possibile destino comune tra Capitalia e Mediolanum (ieri più 2,77% a Piazza Affari), che da Fininvest è controllata.
A tenere banco in giornata sono state, però, soprattutto le ipotesi circolate sui primi prudenti sondaggi per verificare la fattibilità di una fusione tra Banca Intesa e, appunto, Capitalia. Anche chi sostiene l’ipotesi esclude, per il momento, l’esistenza di iniziative o tanto meno colloqui, concreti. Ma è del tutto plausibile che tra i tanti dossier, più o meno teorici, che circolano tra gli interessati e le banche d’affari, ci sia anche questo. A dare credito ai ragionamenti sono inoltre i rapporti da tempo buoni tra il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi e quello di Intesa, Giovanni Bazoli.

Mentre sullo sfondo della possibile aggregazione resta uno snodo decisivo, l’assetto di Mediobanca e Generali, che da una fusione giocata sull’asse Milano-Roma, troverebbero forse una sistemazione definitiva in chiave tricolore.

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