Alla rivoluzione armati di ventaglio

Goldoni protagonista anche all’Eliseo con la «Vedova scaltra» con Raffaella Azim

Alla rivoluzione armati di ventaglio

Dopo il ricco carnet di spettacoli natalizi che hanno allietato le feste dei romani rimasti in città, la scena capitolina saluta il 2008 con una nuova ondata di debutti. E appare quanto mai emblematico il fatto che sia ancora Carlo Goldoni (il cui trecentenario cadeva proprio l’anno scorso) a regalare arguzie e intuizioni geniali in due importanti lavori attesi rispettivamente domani all’Argentina e oggi all’Eliseo. Nella sala maggiore del Teatro di Roma (a qualche giorno fa risale, tra l’altro, la nomina di Giovanna Marinelli a nuovo direttore artistico della struttura) Luca Ronconi presenta Il ventaglio, una produzione battezzata nel gennaio scorso al Teatro Strehler di Milano che, accolta da grande successo, si concentra su una commedia insolita e poco rappresentata del prolifico autore veneziano. Commedia dove vengono portate in scena tutte le classi sociali del tempo e dove si prefigurano inquietanti scenari politici che preludono alla Rivoluzione francese: «Il motore della vicenda - spiega il regista - è un oggetto da nulla, un ventaglio da pochi soldi: eppure questo inerte accessorio riesce a incrinare legami, a produrre scontri, scatenare crisi. Perché di un ventaglio non si può fare a meno in un secolo in cui manca l’aria». Nel cast, tra gli altri, Giulia Lazzarini, Massimo De Francovich, Raffaele Esposito, Giovanni Crippa, Gianluigi Fogacci.
Pullula di istanze moderne e di precognizioni illuminate anche quella Vedova scaltra che, in cartellone nella sala di via Nazionale, Lina Wertmüller rilegge con originalità per Raffaella Azim. Al centro della scena (la disegna Enrico Job) un grande letto: luogo generatore di azioni amorose, che coinvolgono la vedova Rosaura e i suoi pretendenti, ma anche immagine simbolica di quel sentimento puro, di quel vero Amore che secondo la regista romana costituisce la linfa vitale dell’opera. Si tratta in definitiva di una partita dei desideri, di una scacchiera di galanterie e corteggiamenti sulla quale però «si stanno preparando sconvolgimenti rivoluzionari e ghigliottine che distruggeranno ogni incipriata eleganza». Accanto alla Azim recitano pure Giovanni Costantino, Francesco Feletti, Massimo Grigò e Giovanni Cannavacciuolo/Arlecchino.
Di tutt’altro tipo ma non meno affascinante è poi lo spettacolo in programmazione al Valle sempre da questa sera: Molly Sweeney di Brian Friel, su regia di Andrea De Rosa e con Umberto Orisini, Valentina Sperlì e Leonardo Capuano interpreti. Ispirata a un fatto vero di cui parla Oliver Sacks nel saggio Vedere e non vedere, la trama del lavoro evoca l’avventura umana di una donna cieca che, dopo essersi sottoposta a un’operazione chirurgica, riacquista la vista e precipita nella drammatica condizione di chi deve ri-costruire se stesso da capo. Al di là della trama, è tuttavia proprio l’impianto registico di De Rosa a imporsi qui per la sua singolarità: torce, microfoni, luminescenze supportano un unicum sensoriale in cui al pubblico, come già per l’Elettra olofonica di alcune stagioni fa, viene offerta un’esperienza percettiva unica e avvolgente.
Punta invece tutto sulla forza delle parole, sulla memoria-racconto di fatti e voci che ricostruiscono via via il quadro di un omicidio efferato e empio L’istruttoria - Atti del processo in morte di Giuseppe Fava, intenso lavoro scritto da Claudio Fava e diretto da Ninni Bruschetta che torna a Roma, all’Ambra Jovinelli anch’esso da oggi, con il suo carico di umanità e pietas familiare. Costruita secondo un disegno processuale che alterna interrogatori, confessioni, rievocazioni di quel tragico 5 gennaio 1984 (giorno il cui Fava fu ucciso a Catania) a momenti di pianto privato, questa tragedia moderna, superbamente interpretata da Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro, si impone come un momento di ritualità collettiva senza tempo né luogo.

«Credo che il teatro - sostiene il regista - abbia questa funzione e questo privilegio, quello di parlare alla gente attraverso una ritualità, non più sacra, ma quantomeno civile. E i testi di Claudio Fava sono un terreno fertile per coltivare questa aspirazione».

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