Il jazz è una musica in continua evoluzione ed è proiettata nel terzo millennio grazie alla contaminazione con i generi più disparati, dalla elettronica al cosiddetto post rock. Molti steccati sono caduti: si può dunque ascoltare un quartetto jazz-fusion in Blackstar di David Bowie oppure il pianista Brad Mehldau destreggiarsi tra brani del progressive rock anni Settanta, Rush e Yes in testa. I Bad Plus rifanno i Nirvana. Ezra Collective spedisce tutti sulla pista da ballo.
C'è stata una generazione, però, che ha sfondato tutte le porte. I grandi musicisti neri degli anni Sessanta e Settanta si sono però dovuti scontrare con il giudizio ingeneroso e liquidatorio. Aneddoto numero uno. Ornette Coleman è il geniale sassofonista inventore del free jazz, un modo di improvvisare senza restrizioni armoniche o ritmiche. È anche un compositore, apprezzato, a esempio, da Leonard Bernstein, simbolo della musica classica e contemporanea. Quando Coleman si trasferisce a Londra per incidere la sinfonia Skies of America, si deve scontrare con le risatine degli esecutori scettici di fronte alle singole parti. Coleman si alza dalla platea con il sax ed esegue per intero i passaggi. Fine delle risatine. Aneddoto numero due. Anthony Braxton, un altro innovatore, dalle conoscenze però accademiche, ingaggiò cinque strumentisti di basso tuba per una sessione di registrazione. Si rifiutarono di seguire le indicazioni del compositore, ritenendole insensate. Aneddoto numero tre. Lo straziante suono del sax di Albert Ayler fu paragonato in modo derisorio al ronzio di una sega elettrica.
Potremmo proseguire ma forse è meglio passare agli esempi in positivo. Per imporre la nuova musica, ci volevano genio, determinazione e forza fisica. Il mistico John Coltrane, l'autore della preghiera A Love Supreme, si esibiva spesso a New York e Los Angeles. Sono tremila miglia. Coltrane guidava per la maggior parte del percorso, poi saliva direttamente sul palco senza riposarsi.
La distanza dunque. Poi c'erano i proprietari dei locali. Gente poco interessata al progresso della musica e molto interessata a vendere da bere al pubblico. Un genio del pianoforte come Cecil Taylor, per anni ebbe problemi nei club: i suoi concerti erano tour de force. La gente era troppo assorbita e si dimenticava di farsi una o due birre.
A metà degli anni Sessanta, Sun Ra incominciava a diventare un mito. Nero dalla pelle chiara, vestito in stile africano, capelli impomatati e fare da guru. Ogni giorno la sua Solar Arkestra suonava senza sosta al Sun Studio, elaborando uno stile unico, tra Africa, jazz, fughe psichedeliche. Sun Ra: «Io in realtà con la mia musica sto dipingendo quadri di infinito, ed è per questo che una quantità di gente non riesce a capirla. Questa è musica che viene da un altro mondo». Al Cairo in Egitto, nel 1971, chiesero a Sun Ra cosa fosse la nuova «musica progressiva». Sun Ra: «Vuol dire essere avanti sui tempi. Dovrebbe stimolare gli individui a considerare se stessi dei moderni uomini liberi». Ed eccoci al punto: la libertà. La musica nera e il free jazz sono indissolubilmente legati alla lotta contro il razzismo e in favore dei diritti civili. Rompere le «strutture» della musica significa rompere le «strutture» di una società ingiusta, antiquata e oppressiva. Il free jazz è sempre stato una musica scomoda. Quando Coltrane trasformò My Favorite Things una canzone da musical di Broadway in un urlo di trenta minuti che lacerava ossessivamente le strutture della musica convenzionale, o quando Albert Ayler ribaltò Summertime di Gershwin alla ricerca di qualcosa di più profondo e con una risonanza emotiva più oscura, la risposta generale fu l'indignazione.
È questa la storia raccontata da Val Wilmer in La musica. Importante quanto la tua stessa vita. La rivoluzione del Free jazz e della Black music (Shake edizioni). L'inglese Val Wilmer (1941) è considerata una delle più grandi fotografe di musica al mondo nonché critica e giornalista musicale. Fin da giovanissima, ascoltando le registrazioni di classici come Fats Waller e Bessie Smith, sviluppò uno stretto rapporto con il jazz. Ha ritratto centinaia di artisti a partire da Louis Armstrong, John Coltrane, Duke Ellington, Miles Davis, Muddy Waters, John Lee Hooker e tutti i maggiori cantanti blues, e poi Aretha Franklin, Big Mama Thornton, Esther Phillips, Supremes, per passare a Bob Dylan, Jimi Hendrix, Yardbirds, Beatles, Rolling Stones.
L'elenco, impressionante, fa capire subito che l'emancipazione non passava solo per il jazz. C'erano anche il soul di Gil Scott-Heron o di Sly & the Family Stone. C'erano il funk e la blaxpoitation, cioè le colonne sonore dei poliziotteschi con ispettore nero. Era prossima a venire anche la nuova ondata di black music proveniente dal ghetto: l'hip hop. D'altronde sarebbe sbagliato negare un valore di trasgressione al rock'n'roll bianco, è sufficiente pensare a Elvis.
Forse possiamo concludere che tutta la buona musica stimola gli individui a considerare se stessi dei moderni uomini liberi, come diceva il già ricordato Sun Ra.Nel libro di Val Wilmer troverete storie di liberazione, a volte sorridenti, più spesso tragiche, sempre interessate a scoprire il fuoco che brucia nei cuori dei grandi artisti.
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