Londra - Dopo un po’ lui entra con le sue belle scarpe nuove, titubante assai, si stravacca sul divano et voilà! Il nuovo Robbie Williams torna dopo tre anni di autoesilio, pubblica un cd niente male e non è un ciccione depresso come qualcuno temeva. È invece un uomo intelligente che mostra al pubblico il suo catalogo di ossessioni e lo fa con la sbruffona timidezza degli insicuri. «Ho trentacinque anni, forse dovrei essere un uomo più strutturato», sussurra. D’altronde è difficile pretenderlo. A sedici anni, prima di debuttare con i Take That, ha conosciuto la cocaina. Poi la fama mondiale, che più o meno fa lo stesso effetto.
E dopo ha iniziato ad averne il terrore, o forse la noia. Nel frattempo ha venduto palate di dischi diventando uno dei cantanti più famosi in circolazione e ha foraggiato i rotocalchi con ogni tipo di gossip. Ma si è dimenticato di crescere. Lo sta facendo ora, con il disarmante ritardo degli artisti, accettando finalmente di confidarsi ma fumando una sigaretta Silk Cut dietro l’altra come se la star qui, in un hotel di Soho, non fosse lui, l’ex golden boy del pop, ma la sua paura, tenera e onnivora.
Robbie Williams, non per nulla ha intitolato il suo nuovo album Reality killed the video star, la realtà uccide la star del video.
«Era il titolo di una canzone che scrissi anni fa pensando al mio primo amore, io avevo sedici anni e lei quindici. Poi persi il testo ma il titolo mi è comunque rimasto in mente. E l’ho tirato fuori».
Sì, ma cosa significa.
«Niente, è solo un piccolo titolo per un album pop».
Ci sarà qualcuno che si immagina un riferimento polemico ai reality show.
«Mi piacerebbe fare discorsoni intellettuali sui reality e dire che ci stanno distruggendo. Io in realtà li guardo e non so se facciano bene o male».
Nel suo nuovo singolo Bodies lei dice testuale: «Gesù non morì per voi».
«Una sera ho visto un documentario che parlava delle insicurezze intorno a Gesù e del fatto che in passato fossero adorati dei figli di madre vergine e risorti dopo la morte. E mi sono detto: magari Gesù non è morto per noi».
Complicato. Ma lei è praticante?
«Sono stato allevato come un cattolico e mi trascino i miei sensi di colpa e una bella sensazione di vergogna».
Ma va in chiesa, prega?
«Non più. Quando sono felice credo che forse Dio non esista. Quando sono triste e infelice, spero che ci sia e lo cerco».
Adesso è nella fase che non crede in Dio: le sta andando tutto bene.
«Non lo so, mi sento imbarazzato per quanto sono sensibile alle cose che mi circondano. E tutto ciò condiziona ciò che penso di me».
Perciò va poco volentieri in tv.
«Odio andare in tv, specialmente qui in Gran Bretagna dove i giornalisti sono i peggiori».
Sabato prossimo lei sarà ad Amici su Canale 5.
«Andare in tv comunque mi terrorizza. Capisco George Michael che nella sua carriera solista ha pubblicato solo quattro dischi. Gli alti e bassi ti possono devastare».
Viene in mente Michael Jackson.
«Ho trascorso tre anni chiuso nella mia casa di Los Angeles senza uscire se non per andare dal medico. Ho preso anche gli antidolorifici come faceva lui. Ma dopo due mesi ho smesso, ce l’ho fatta».
Inizierà un’altra tournée?
«Ne sono terrorizzato. Quando arrivo sul palco sembro così sicuro e invece sono terrorizzato. Sono un automa che continua a ripetersi di fare schifo».
Sì o no?
«Per ora no, ma non lo escludo. Diciamo che ogni tanto farò come si fa con l’acqua del mare: si mette dentro il piede per sentire se sia troppo fredda oppure sopportabile».
Niente tour, il disco è finito. Scusi, lei che cosa fa?
«Scrivo canzoni tutto il giorno, anche adesso che ho un disco di cui sono incredibilmente orgoglioso».
E l’ispirazione da dove le viene?
«Dico la verità: non lo so».
Molti se lo sono chiesto dopo il suo penultimo cd, Rudebox, che è stato un flop.
«Era un album sperimentale che mi sono divertito a fare. Da ragazzino, ascoltai Achtung baby degli U2 e pensai: ma questo disco è davvero sexy! Con Rudebox volevo fare un album così».
Obiettivo mancato.
«Non sono mai riuscito a fare l’album che ho davvero in mente».
Magari lo farà con i Take That. Dicono che finalmente vi riunirete.
«Amo il pop e mi è piaciuto molto il loro ultimo cd The circus: io sono pur sempre un grande fan dei grandi cori nelle canzoni».
D’accordo, ma vi riunirete?
«Mi interessa molto ma non so quando succederà».
Pieno di incertezze. Se non fosse diventato una popstar, che cosa avrebbe combinato nella vita?
«Sarei diventato molto grasso. Andavo bene a scuola ma non ho imparato nulla. Forse sarei diventato uno spacciatore di marijuana».
La fuma?
«No».
Michael Bublé vorrebbe duettare con lei.
«È un grande, mi piace. È come me ma lui sa cantare».
Allora il duetto?
«Ma a quale scopo? Se fossi ambizioso, lo farei. Ma alla fine preferisco starmene a casa a Los Angeles con il mio cane».
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