Sulla moda della villeggiatura Carlo Goldoni ha scritto ben cinque commedie. Alcune tra di esse («Le smanie», «Le avventure» e «Il ritorno dalla villeggiatura»), sono riunite in una vera e propria trilogia. Nel mirino ci sono le ambizioni e la voglia di apparire dei nuovi ceti borghesi che scimmiottano le abitudini di eleganza del mondo aristocratico. «L'innocente divertimento della campagna è diventato ai dì nostri una passione, una mania, un disordine», scrive Goldoni nell'introduzione alle «Smanie». «Il villeggianti portano con loro in campagna la pompa e il tumulto delle città».
Prima ancora delle vacanze è la villeggiatura il primo segno di benessere e la prima conquista nella scalata sociale. «I nuovi ceti formati da bottegai, piccoli imprenditori, medici, notai investono il denaro in terreni e ville e amano soggiornare in alcuni periodi dell'anno nelle loro proprietà», scrive Maria Celia Cardona («La storia della villeggiatura», Edizioni Abete). Si controlla l'investimento e si cerca di fare sfoggio di uno stile di vita raffinato e signorile.
L'abitudine, però, è ben precedente alla Repubblica Veneta e ha degli iniziatori indiscussi. «Sono i romani gli inventori della villeggiatura», dice Maria Clelia Cardona. All'insegna dell'otium che, come dice il retore Atilio, è ben diverso dal «non far nulla», la villa, in campagna o al mare, è sin dal periodo classico uno dei tratti distintivi della civiltà latina. Ed è questa una differenza con i greci, più tenacemente affezionati a uno stile di vita urbano.
A descrivere le giornate di tranquillo riposo delle vacanze sono autori come Plinio, Seneca, Catullo, Orazio e Tibullo. In altri passi si descrivono invece i divertimenti lussuosi e volgari delle località marine più alla moda. «Ed è singolare il fatto che anche i teorici della morigeratezza, del vivere parco, dell'ozio equilibrato e laborioso, come Cicerone, Seneca e lo stesso Plinio, possedessero poi un numero incredibilmente elevato di ville e ne acquistassero di continuo», scrive Cardona. La più famosa è probabilmente Villa Jovis, la principale tra le 12 ville possedute dall'imperatore Tiberio a Capri.
Anche i romani avevano una loro Costa Azzurra, o, forse meglio, una via di mezzo tra la Costa Azzurra e Ibiza. Era la costiera a nord di Napoli, tra l'antica Baia («la piccola Roma») e Pozzuoli. A partire dal mese di aprile tutto il demi-monde romano si riversa nella zona. In un'orazione Cicerone si lancia contro l'immoralità di una frequentatrice assidua della costa: «I suoi accusatori non fanno altro che parlare di orge, amorazzi, adulteri, di Baia, di festini sulle spiagge, di banchetti, baldorie, canti, concerti, gite in battello». In una lettera a Lucilio Seneca descrive la confusione di uno stabilimento balneare tra il rumore dei tuffi in piscina, le chiacchiere dei bagnanti e le urla dei venditori di bibite.
Con la decadenza e la caduta dell'Impero anche la villeggiatura finisce con lo sparire. Per ritrovare qualche cosa di simile bisogna aspettare la civiltà urbana del Trecento medievale.
Tra le prime testimonianze, naturalmente, il Decamerone e un'altra opera meno conosciuta del Boccaccio, Elegia di Madonna Fiammetta. Racconta di un marito napoletano che vedendo la propria giovane moglie un po' deperita la manda in villeggiatura a Baia. Qui la donna recupererà la salute ritrovando l'amante perduto.
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