La Roma e Spalletti: c’eravamo tanto amati

Sono giorni tempestosi in casa Roma. Giorni di contestazioni, di delusioni, di preparativi per addii inevitabili, di incertezze. Giorni che rischiano di infangare nella corta e un po’ carogna memoria dei tifosi tutto quello che di buono la Roma spallettiana ha fatto: i tre secondi posti, lo scudetto sfiorato meno di un anno fa, le due Coppe Italia, le due Supercoppe, l’ingresso nel Gotha del calcio europeo. E soprattutto un calcio che per tre anni ha fatto scuola. Quest’anno, al massimo l’asilo.
Ora tutto è alle spalle. La Roma di domani avrà forse padroni nuovi, e in panchina quasi sicuramente un allenatore nuovo di zecca. I segnali mandati da Luciano Spalletti nelle ultime settimane, e ancora di più dopo lo scoraggiante pari di domenica contro il Chievo, sono abbastanza chiari per uno che di solito con le parole costruisce muri di enigmi: il toscano dopo tantin complimenti vuole andare a incassare da qualche altra parte prima che la sua fresca fama finisca di offuscarsi. A Roma il sor Luciano vive di rendita per quanto fatto nelle tre stagioni precedenti, ma alcune ignobili prestazioni di quest’anno (alcune? Diciamo una quindicina) hanno ormai quasi esaurito il bonus. Altrove invece Spalletti può vantare una reputazione quasi intatta, visto che i tanti alibi di stagione (infortuni, sfortuna, una campagna acquisti incomprensibile da lui subita) lo fanno uscire quasi immacolato da questa annata-disastro.
Quindi ciao. Con tanti rimpianti ma ciao. E anzi, la sensazione è che questo divorzio avvenga un anno troppo tardi sia per Spalletti sia per la squadra. Il tecnico di Certaldo avrebbe potuto (e forse dovuto) andarsene un anno fa, al culmine della parabola. Invece è rimasto senza entusiasmo (il contatto con il Chelsea è un fantasma che ha aleggiato per tutto l’anno), inseguendo l’improbabile sogno della finale Champions a Roma e il bis di una stagione irripetibile, con Inter, Juve e Milan rimpolpate e i giallorossi ad accontentarsi di Riise, Loria, Menez e Julio Baptista. E questi dodici mesi sono stati tempo sprecato per tutti e due.
E mentre Luciano prende la strada del Nord, è già tempo di totonome per una panchina come quella giallorossa prestigiosa ma l’anno prossima calda quanto mai, con un padrone incerto, un’Europa piccola piccola (se pure ci sarà), una tifoseria da riconquistare e tanti giocatori da rigenerare (quelli che resteranno, naturalmente). I nomi sono quelli di Claudio Ranieri, romano ed ex romanista ma non in grado di scatenare un hola in Curva Sud; di alcuni giovani rampanti come Giampaolo o Allegri, che hanno fatto bene negli ultimi anni; e qualcuno aggiunge anche quelli di Mancini e di Prandelli, secondo chi scrive assai improbabili.
Intanto la squadra è tornata al lavoro per preparare la sfida di domenica a Cagliari, a questo punto buona solo per puntellare il sesto posto assaltato dal Palermo.

Lunga come al solito la lista degli assenti: Aquilani, Cicinho, Doni e Juan oltre allo squalificato Riise. A Trigoria ieri atmosfera plumbea, con i tifosi a contestare stancamente il tecnico («Spalletti dicci la verità», recitava uno striscione) e lui a sfogarsi prendendo parte alla partitella. Mala tempora currunt.

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