Svelati gli affari del boss Salvatore Nicitra grazie alle intercettazioni. Questa mattina, alle prime luci dell’alba, i carabinieri lo hanno arrestato. Proprio lui, il boss originario di Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, trasferitosi da giovane a Roma, legato non solo alla banda della Magliana ma anche a Cosa Nostra. Era riuscito per anni a farla franca, passando anche per pazzo. Invece che dietro le sbarre aveva trascorso un po’ di anni in un manicomio giudiziario. Poi alcuni pentiti avevano parlato di lui come il re delle scommesse clandestine e delle slot-machines, proprio per la sua capacità di gestire gli affari di gioco. Intercettato dai carabinieri era stato Nicitra a raccontare la sua carriera criminale.
Come riporta Il Corriere, il boss avrebbe narrato le sue gesta ai microfoni nascosti dai militari. All’inizio si occupava di totocalcio, poi ha aggiunto il lotto, perché tutti all’epoca ci giocavano e non riuscivano mai a vincere. Così, l’unico ad arricchirsi era sempre il boss. Avrebbe detto tronfio: “Io avevo le case da gioco più importanti di Roma e d’Italia, con i soldi che guadagnavo neanche il casinò li guadagnava, avevo le case da gioco con ville così, con i camerieri con i guanti bianchi e i vestiti neri, guadagnavo 100.000 euro a notte”. Secondo le indagini della Procura di Roma avrebbe avuto entrate milionarie derivate da scommesse clandestine, slot-machines e giochi elettronici presenti in bar e locali. Adesso è stato nuovamente arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa dell’attività economica e alla frode informatica. Aggravato il tutto da metodo mafioso.
Nicitra era anche stato indagato nel lontano 1993 per alcuni omicidi avvenuti alla fine degli anni ottanta. La mafia ha sempre avuto un posto nella sua vita. Basti pensare per esempio al rapimento del fratello Stefano, 34 anni, e del figlio 11enne Domenico, entrambi uccisi. O almeno così si è pensato, visto che i loro corpi non sono mai stati trovati. Primo e unico caso di lupara bianca nella Capitale. Domenico probabilmente era stato eliminato per vendetta, oppure perché aveva assistito all’omicidio dello zio. La criminalità romana organizzata dei tempi utilizzava anche metodi propriamente in uso alla mafia.
Nonostante la morte del figlio piccolo, il boss siciliano era riuscito a risollevarsi e a conquistare Casalotti, Primavalle, Montespaccato, Cassia, Monte Mario, Aurelio. Assumendo anche il ruolo di mediatore tra le bande che si spartivano il territorio romano per traffici di droga e altro. Roma Nord era tutta in mano sua e aveva anche avvertito un potenziale concorrente: “Chiariamo subito i ruoli, qua su Roma nord tu non metti un chiodo, e se metti un chiodo devi passà prima da me”. Queste intercettazioni erano servite durante l’indagine condotta dal pubblico ministero Nadia Plastina sotto il coordinamento del procuratore reggente Michele Prestipino.
L’ultimo arresto risale a meno di due anni fa. L’importanza di Nicitra risultava anche dal modo in cui gli altri parlavano di lui. Uno addirittura, per rendere l’idea, lo aveva paragonato a Il Padrino. Intanto il boss pensava al suo futuro e a portare via un pò di quattrini per assicurarsi una bella pensione.
Adesso i carabinieri hanno scoperto almeno 5 omicidi commessi da Nicitra, avvenuti tutti negli anni ’80, ma comunque importanti per le indagini. Dietro le sbarre con lui sono finite altre 38 persone, per un’indagine condotta anche oltre confine, in Austria per l’esattezza.Segui già la pagina di Roma de ilGiornale.it?
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