Coronavirus, moglie dell'agente di Pomezia: "Stava già male da tempo"

Parla la moglie dell'agente di Pomezia ricoverato in terapia intensiva allo Spallanzani: "Chiederò giustizia, stava già male da tempo mio marito"

Coronavirus, moglie dell'agente di Pomezia: "Stava già male da tempo"

Aveva rassicurato la moglie e i colleghi del commissariato Spinaceto che sarebbe andato tutto bene dopo aver riscontrato la positività al coronavirus. Ma poi, le condizioni di salute dell'agente di Pomezia sono precipitate rapidamente: ora, è intubato e sedato nel reparto di terapia intensiva allo Spallanzani.

Il suo cellulare è spento da giorni. "Ci hanno detto che ci informeranno i medici di eventuali novità ma non vediamo l'ora che telefoni lui", dice la moglie del sovraintendente di 52 anni alle pagine del quotidiano La Stampa che, insieme ai figli di 17 e 19 anni, si trova in isolamento nella casa di Torvaianica. Anche loro, purtroppo, hanno contratto il nuovo virus. L'agente di Pomezia è uno dei tre ricoverati in regime di massima attenzione nel presidio ospedaliero della Capitale. Gli altri pazienti in stretta osservazione sono una donna di Crema e un anziano di Cassino, entrambi con patologie pregresse. Ma nel caso del poliziotto 52enne, in attività presso l'ufficio denunce del piccolo commissariato di periferia, non sono stati rilevati trascorsi clinici preoccupanti.

"Non ha mai avuto neanche una comune influenza", assicurano i parenti. Chi lo conosce bene lo descrive come "un maniaco della pulizia, del lavarsi le mani, prudente, poco amante della vita sociale e mondana". Ed è per questo che i suoi familiari non ne vengono a capo. Stando alle indagini condotte dai ricercatori dell'Istituto Lazzaro Spallanzani, il contagio sarebbe avvenuto tramite la figlia 17enne che, tra il 14 e il 16 febbraio, era stata a Milano per assistere al concerto dei Jonas. L'analisi sierologica, infatti, ha evidenziato tracce del Covid-19, con una carica più bassa, proprio nell'adolescente. Ma per quanto l'esito degli esami sia incontrovertibile, il dubbio che il contagio possa essere avvenuto già ad inizio febbraio restano.

"Mio marito si era ammalato già il 2 febbraio - spiega la moglie - ed era mancato da lavoro per molto tempo. A fine gennaio, aveva raccolto anche le denunce di cittadini cinesi ed è per questo che si era preoccupato". I camici bianche del presidio specialistico romano ipotizzano che il virus abbia inciso su una precedente influenza contratta dall'agente da cui, poi, ne sarebbe conseguita una polmonite acuta. Ma per la famiglia del 52enne le ragioni che sottendono all'aggravamento delle sue condizioni sono ben altre. Il sovraintendente si era recato al policlinico di Torvergata la sera del 26 febbraio ma, a detta della donna, nessuno dei sanitari avrebbe capito di essere di fronte ad un caso di contagio. "Lo hanno fatto stare seduto su una sedia al freddo, per tutta la notte, negandogli il test. - continua la donna - Era in mezzo agli altri ammalati, abbandonato a sé stesso. E non avrebbero dovuto dimetterlo in quelle condizioni, tant'è che la situazione è precipitata".

La sera del 28 febbraio, a seguito di una profonda crisi respiratoria, il poliziotto è stato condotto in ambulanza al Gemelli dove gli è stato fatto il tampone faringeo. L'unica ad aver sospettato che si trattasse di coronavirus era stata un medico di base che, dopo averlo visitato, aveva suggerito all'uomo di tornare a casa e chiamare il numero per l'emergenza. Ma dal centralino del 1500 non avrebbe mai ricevuto risposta.

Soltanto attorno alle ore 22 di quella stessa domenica, sarebbe riusciuto a stabilire un contatto con il 112 e , da lì, è cominciato il lungo viavai tra gli ospedali della Capitale. "Chiederò giustizia", dice la moglie dell'agente aspettando con ansia di gettarsi questa brutta storia alle spalle.

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