da Indianapolis
Tanto è anonima Indianapolis, cittadina dell'Indiana, costa est degli Stati Uniti, tanto è affascinante e seducente il circuito. «The Racing Capital of the world», la capitale mondiale delle competizioni, si legge appena varchi l'ingresso. Un'esagerazione? Forse. Poi, però, fai due passi all'interno dell'Indianapolis Motor Speedway, cominci a guardarti in giro, a vedere l'ovale da 380 km/h di media e le tribune da 225.000 spettatori seduti, per una capienza massima di 400.000 appassionati, e pensi che probabilmente hanno ragione, perché questo è veramente l'impianto più grande del mondo. «Ci troviamo in un tracciato storico; purtroppo, però, noi corriamo nel giardino» ironizza alla vigilia Valentino Rossi, sintetizzando perfettamente la situazione.
Perché un conto è l'ovale, un altro il tracciato ricavato all'interno del catino per ospitare per la prima volta nella storia il motomondiale. Una sfida voluta a tutti i costi da Carmelo Ezpeleta, il numero uno delle due ruote a motore. «Il mercato americano della moto - afferma - è il più grande del mondo: essere a Indianapolis è per noi motivo di orgoglio».
Ezpeleta spera di riuscire là dove hanno fallito Bernie Ecclestone e la sua F1, che qui ha corso per pochi anni senza lasciare pressoché traccia. «Attendiamo oltre 100.000 spettatori» dicono gli organizzatori, convinti che quello di quest'anno sarà il primo appuntamento di una lunga serie. Anche perché qui, nel tempio della F. Indy, le moto sono state protagoniste di un passato glorioso, con la leggenda Erwin Baker che, nel 1909, vinse al termine di una gara epica in sella a una Indian senza freni. Altri tempi. Da allora, le auto hanno conquistato Indianapolis, mentre le moto sono sparite, anche se i piloti americani, a partire da metà degli anni Settanta, hanno cominciato a conquistare l'Europa e il mondiale 500. Kenny Roberts, Freddie Spencer, Eddie Lawson, Kevin Schwantz sono più famosi dalle nostre parti che a casa loro e anche Valentino Rossi, l'icona del motociclismo moderno, può permettersi di girare tranquillamente per le vie di New York a fare shopping, come un qualsiasi turista. «È stato bellissimo - se la ride il fenomeno di Tavullia, avviato a conquistare il suo ottavo titolo iridato - perché per strada nessuno mi riconosce. Conoscono la mia moto, i miei colori, il mio numero, ma non la mia faccia».
Dopo questo GP, il secondo della stagione negli Stati Uniti dopo quello di Laguna Seca (California) di luglio, i piloti del motomondiale, e Rossi in particolare, verranno probabilmente identificati con più facilità. Anche perché, dopo i timori della vigilia, la pista è stata giudicata più interessante delle previsioni. «È stato emozionante entrare in questo circuito - racconta Rossi, undicesimo dopo le prime libere, con Casey Stoner terzo nonostante una scivolata -: sarebbe bello che ci fosse il sole e vedere un po' di gente (le previsioni, però, danno acqua per tutto il fine settimana, ndr). C'è qualche punto un po' pericoloso, qualche muro un po' vicino e tre tipi di asfalto differenti, ma il tracciato ha un buon potenziale e con l'asciutto potrebbe essere divertente sia per i piloti sia per gli spettatori. Con l'acqua, purtroppo, siamo un po' al limite e per l'anno prossimo bisognerà sicuramente fare delle modifiche».
Secondo Valentino, il motomondiale ha maggiori possibilità di sfondare rispetto alla F1. «Gli americani hanno già i loro idoli nelle corse di auto e per questo, probabilmente, la F1 qui ha avuto poco successo, mentre la MotoGP può diventare il punto di riferimento degli appassionati».
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