«Saddam Hussein vuoi fare pace con Allah?»

Allestite due forche, una a Bagdad, l’altra fuori città. L’addio ai due fratellastri

Forse è già tutto finito. Gli avvocati di Saddam ieri sera non avevano più speranze. L’epilogo, ripetevano, è fissato per l’alba di oggi. Saddam dovrebbe aver già infilato la testa nel cappio. Il boia potrebbe aver già aperto la botola. La sanguinosa parabola terrena del dittatore potrebbe già essersi conclusa con un estremo, macabro balletto. Di certo ieri sera il primo ministro Nuri Al Maliki firma l’ordine d’esecuzione. Subito dopo convoca una riunione d’emergenza con i suoi ministri. All’ordine del giorno l’ora dell’esecuzione, che viene fissata alle 6 locali (le 4 in Italia). Per deciderla al crepuscolo di un venerdì santo e alla vigilia dell’Eid al Adha, i quattro giorni di solenni celebrazioni per la «Festa del sacrificio», vengono convocate ed interpellate le principali autorità religiose sciite e sunnite. Due forche allestite dentro e fuori la capitale già attendono Saddam Hussein.
Che l’appuntamento con il patibolo sia imminente lo si capisce con certezza solo nel tardo pomeriggio di ieri. A quell’ora due fratellastri di Saddam Hussein vengono convocati nel carcere americano in cui è detenuto il dittatore. Uno solo viene fatto entrare nella cella. Saddam lo abbraccia, gli consegna il sacco con i propri effetti personali, gli infila in tasca la lettera con le ultime volontà. Poco dopo, secondo alcune fonti, i soldati americani scortano il morituro fuori da quella cella spoglia e lo consegnano agli sgherri iracheni. Ma le autorità statunitensi, poche ore dopo, negano tutto e ricordano che il condannato è ancora sotto la loro custodia. Vi resterà, con tutta probabilità, fino a pochi momenti prima dell’esecuzione. L’ex raìs andrà al patibolo vestito di verde. Un imam sunnita gli chiederà di «fare la pace con Allah». Il boia è un volontario, come voluto forse dallo stesso Saddam nel 1969, quando venne approvato il codice penale. A quel tempo il futuro despota era vicepresidente.
Gli americani, sembra di capire, vogliono evitare sorprese, temono che qualcuno lanci un’estrema disperata sortita per liberare il dittatore sulla via del patibolo. Così da ieri pomeriggio tutte le unità statunitensi dentro e fuori la capitale sono in stato d’allerta e numerosi reparti delle forze speciali dislocati in zone critiche si tengono pronti ad intervenire.
Il grottesco venerdì di passione di Saddam Hussein inizia la mattina presto quando qualcuno annuncia la consegna degli effetti personali del dittatore ai suoi legali. Non è ancora successo nulla, ma l’anticipazione scatena allarme e smentite. E non solo quello. La ridda di notizie contraddittorie disseminate ad arte fa capire che non tutti da Washington a Bagdad sono convinti dell’opportunità di un’esecuzione immediata. I primi a dubitare sono gli esponenti dei servizi di sicurezza americani in contatto con gli insorti sunniti per avviare un negoziato in grado di isolare Al Qaida e bloccare la guerra civile.
Lo stesso governo iracheno sembra lacerato. I ministri della minoranza sunnita non sono certo disposti ad accettare la morte di un dittatore che riscuote ancora tanti proseliti tra i loro elettori. Quelli curdi non s’accontentano di una condanna a morte per l’uccisione dei 148 insorti sciiti del villaggio di Dujail, ma chiedono una sentenza esemplare anche per le centinaia di migliaia di sciiti sterminati nell’era Saddam. Un vice ministro della giustizia curdo ripete che senza un decreto firmato dal presidente Jalal Talabani e dai suoi due vice l’esecuzione non potrà aver luogo prima di trenta giorni. A smentirlo ci pensa la lettera dell’ ufficio di presidenza che nega la necessità del decreto per accorciare i tempi.
A seminare altri dubbi ci pensano gli avvocati difensori annunciando di aver concordato con gli americani un appuntamento con il loro assistito per i primi giorni del nuovo anno. Poi, in serata, l’altro annuncio: l’ultimo, disperato ricorso ai giudici americani perché blocchino la consegna di Hussein agli iracheni. Il calendario, riflettono in molti, sembra dare ragione agli avvocati. Il venerdì festivo verrà seguito dai quattro giorni dell’Eid al-Adha, la festa del sacrificio successiva al pellegrinaggio alla Mecca. Il codice penale iracheno vieta le esecuzioni nei giorni festivi e dunque le porte del patibolo non potrebbero aprirsi prima di mercoledì.

L’assenza del ministro della Giustizia Hashim Abdul-Rahman al-Shebli contribuisce all’incertezza generale. Per legge spetterebbe a lui a firmare l’atto di richiesta formale indispensabile per la consegna del condannato, detenuto dagli americani, alle autorità carcerarie irachene. Ma sono solo sottigliezze legali.

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